La «fabbrica» dell’Ulivo decide di non decidere

da Roma

Nello sconquassato Ulivo, la linea che prevale è quella del rinvio. Romano Prodi è tornato da Creta (da cui il soprannome di «Minotauro» che gli alleati gli hanno affibbiato), e già oggi presiederà a Bologna un meeting della ormai celebre «fabbrica del programma», e con l’occasione incontrerà e discuterà a quattr’occhi con alcuni dei dirigenti della Margherita e dello Sdi a lui più vicini. Ma nel giro di telefonate triangolari che ieri ha animato la domenica dei leader (Rutelli e Prodi non si parlano, dunque è Fassino a fare da tramite parlando con l’uno e con l’altro e filtrando gli improperi che i due affidano alle sue orecchie), su una cosa tutti si son detti d’accordo: rinviare incontri e vertici dell’Ulivo e dell’Unione, evitare di sedersi attorno ad un tavolo per discutere di liste, primarie, scissioni, presidenti Rai ecc., vista la concreta possibilità, in questo clima, di veder degenerare la conversazione in rissa. Si attenderà dunque che passi la consultazione referendaria di domenica e lunedì prossimi, cercando nel frattempo di trovare qualche punto d’incontro tra i contendenti. Ma la matassa è aggrovigliatissima e l’atmosfera pessima, densa di miasmi e di sospetti.
Le dichiarazioni domenicali evocano alternativamente il «suicidio» (Paolo Cento, Verdi) o la «catastrofe» (Massimo Cacciari, Margherita ala Rutelli) come concreta prospettiva a breve termine per il centrosinistra. Clemente Mastella, sempre più irrequieto, invita Prodi («se ne ha voglia e pazienza») a prendere atto che la sua Unione «non esiste più» e che andrebbe «reinventato un nuovo modo di stare insieme», in un bel centro-sinistra col trattino nel quale ognuno faccia la sua parte e coltivi il proprio orto politico. «Se così non sarà - conclude Mastella - nessuno potrà lamentarsi che nel Paese continui a crescere e a trovare spazio politico una grande voglia di centro soprattutto se, come riteniamo, alle politiche del prossimo anno il candidato leader del centrodestra non sarà Berlusconi».
Le tensioni più palesi sono dentro la Margherita, con prodiani e rutelliani che si scambiano pubbliche accuse di scissionismo (i secondi ai primi) o di trame centriste e affossamento dell’Ulivo (i primi ai secondi). Il fantasma della scissione aleggia realmente: Piero Fassino ha chiuso la porta al cosiddetto «Ulivetto» proposto da Prodi (un listone con «chi ci sta» e dunque con i ds ma senza Rutelli), ma resta in piedi l’ipotesi di una Lista del Presidente con dentro un pezzo di Margherita, Sdi, Repubblicani e vip locali dell’Ulivo (da Soru in Sardegna a Illy in Friuli a Gasbarra, presidente della provincia di Roma). Le simulazioni, già preparate, dicono che una lista guidata da Prodi potrebbe arrivare al 6-7%, rubati in buona parte alla Margherita e per il resto alla Quercia. Prodi avrebbe così il suo partito e un gruppo parlamentare cui iscriversi, e otterrebbe il risultato di indebolire l’avversario Rutelli ma anche l’alleato più pesante.


Ma perché i ds dovrebbero avallare una simile operazione, che a parole condannano come «devastante» e che passerebbe necessariamente per le primarie, visto che in caso di scissione la Margherita contesterà apertamente la leadership? «Perché c’è il rischio che, senza la lista unica e il partito dell’Ulivo, nella prossima legislatura il governo Prodi entri subito in difficoltà nella morsa tra Bertinotti da una parte e una Margherita elettoralmente rafforzata dall’altra», spiega uno dei principali consiglieri di Prodi, «Rutelli a quel punto potrebbe dare il via ad un’operazione centrista per abbattere Prodi e mettere ai margini i ds. Per questo il Professore li convincerà a dare sottobanco via libera alla sua lista».

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