Facchetti, campione e gentiluomo: 50 anni di calcio nello stile del Cipe

Il ritratto che Pietro Cabras ha dedicato al capitano traccia un affresco di 50 anni di pallone

In quarta di copertina c’è il nipotino Mattia che, intabarrato in una maglia ufficiale ancora troppo grande, le manine alzate al cielo, sembra chiamarlo: ma nonno Giacinto è già lì perché ci sarà sempre nel cuore, non solo nerazzurro, di chi lo ha conosciuto e stimato.
Oggi un nuovo libro, a due anni dalla scomparsa, traccia il profilo di Giacinto Facchetti. Enorme ed elegante. Timido e trasparente. A cimentarsi con il suo ritratto è il giornalista del Corriere dello sport - Stadio, Pietro Cabras, autore di Facchetti, Calciatore e gentiluomo (Edizioni Piemme, pagg 267, euro 15). «Sono l’autore, sì - spiega Cabras - ma insieme a tutte le persone che mi hanno aiutato a ricordarlo». Nessuno si è tirato indietro: non i suoi amici più cari come Giancarlo Danova, sodale nella vita, ma rossonero sul campo, non Adelio Moro, ma nemmeno Pelé né tantomeno Alfredo Di Stefano, la «saeta rubia» del Real Madrid cui forse brucerà per sempre quella finale di Coppa dei Campioni del 1964 al Prater, persa contro l’Inter e il Giacinto. Le pagine di Cabras non sono come le tante già scritte fino ad oggi: «Giacinto diventa il perno di un intero romanzo che fotografa 50 anni di calcio»: parola di un commosso Candido Cannavò che non può che parlare per metafore di calcio del suo legame con Facchetti: «Nel derby fra uomo e campione, oggi vince l’uomo - spiega Cannavò -, ma la sua storia di atleta la porterei nelle scuole insieme a quella di altri grandi, anche di oggi, come Pistorius». Già, una storia ben oltre lo sport e lunga molto più di quei 75 goal. Nel libro c’è tutto: dalle nebbie sull’asse Treviglio-Milano, al papà ferroviere che lo scorrazzava nel cestino della bicicletta, il provino col Milan e quel «Ci faremo sentire» che fu la sua fortuna, i tram per andare ad allenarsi e perfino quel bivio dove la vita gli impose una decisione. Calciatore o atleta? Lui scelse senza voltarsi indietro, ma il suo scatto emergeva in tutti i suoi allunghi da terzino.

«Forse “Cipe” non amerebbe Mourinho, ma si allineerebbe alle scelte della società anche di fronte ad un’Inter così straniera», conclude Cannavò. Nella prefazione il figlio Gianfelice scrive: «Mi piace cercare papà in un altrove che è ovunque possa ricordare il suo sorriso e l’abbraccio e chiunque mi parli di lui me lo fa riscoprire ogni giorno di più».

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