«Faccio musica per capire il mondo»

Il compositore oggi in concerto con l’artista turco Mercan Dede a Paderno Dugnano

Daniele Colombo

«L'equazione islamismo uguale fondamentalismo è un pericoloso luogo comune: la cultura islamica ha invece una ricchezza sconosciuta che nel mio piccolo spero di contribuire a diffondere». Nasce con questi propositi ecumenici e cosmopoliti il concerto che Ludovico Einaudi, uno dei più apprezzati compositori contemporanei, proporrà in sodalizio con l'artista turco Mercan Dede, stasera alle 21 nel Santuario dell'Annunciazione di Paderno Dugnano (tel. 02-9184100; repliche milanesi domani a Santa Maria della Scala in San Fedele e domenica 18 all'abbazia di Morimondo). Lo spettacolo, che vedrà anche la straordinaria partecipazione di un danzatore derviscio donna («un modo per ribaltare certi stereotipi»), fa parte della rassegna La musica dei cieli, organizzata dalla Provincia di Milano e giunta alla nona edizione (tel. 02-77406311).
Cultura sufi, dervisci, ricerca dell’estasi: sentieri percorsi anche da Franco Battiato…
«Lo so, anche se non saprei paragonarmi. Dal mio punto di vista rientra nella serie di interessi che ho verso altre culture, musicali e non, che coltivo da un po' di tempo. È un modo di entrare in contatto con un pensiero diverso. Momenti di crescita per capire il mondo».
Come nasce l'incontro con questa spiritualità?
«Un paio di anni fa sono stato in Turchia e ho assistito a cerimoniali sufi e dervisci. Mi ha colpito il senso estatico, di annullamento, che raggiungono con musica e danza. Mi sono documentato e ho trovato una raccolta di melodie che ho studiato e rielaborato secondo la mia sensibilità. Poi ho scoperto questo artista turco, Mercan Dede, che affronta la musica sufi in chiave elettronica e sperimentale. Mi sembrava che questo connubio potesse essere una buona idea da proporre per la rassegna La musica dei cieli».
La «contaminazione» continua: dopo la collaborazione con artisti armeni, russi, il recente album con Ballakè Sissoko, ecco l'incontro con la tradizione turca.
«Non so se è "mescolanza", per me ha più significato di comprensione e apertura verso il mondo con le sue tante culture che, grazie anche alla tv, sono sempre più vicine a noi. Mi interessa allargare gli orizzonti, soddisfare le mie curiosità e raccontare queste esperienze».
La sua musica è stata definita minimalista: come può dire di più se viene «asciugata» come un osso di seppia?
«Non tolgo le fondamenta per lasciare il nulla, ma "asciugo" fino all’ossatura che contiene il tutto. Cerco una forma più chiara e pura, senza orpelli che la rendono confusa».
Ha cambiato diversi «partner» cinematografici: manca un regista con la sua stessa sensibilità?
«Forse sì. Nel cassetto c'è sempre il sogno di un film in cui musica e immagine siano perfettamente fuse come nel caso di Philip Glass e Godfrey Reggio. Un'opera pensata insieme, con un legame in profondità».
«Le onde» meriterebbe di essere una colonna sonora importante, come lo è stata «The piano» di Michael Nyman per Jane Campion.
«Beh, Lezioni di piano è stato un lancio ideale. Le onde ha avuto un piccolo trampolino con Moretti in Aprile, non ha avuto lo stesso livello di diffusione, ma non ho rimpianti: l’album si è fatto strada da sé, in Inghilterra e in Germania ha avuto molto successo».
C'è qualcosa che detesta?
«Certa dance becera, la new age: quando mi capita di sentirle cambio subito canale. Ascolto, invece, la musica elettronica, etnica, anche rock e jazz.

Molto meno la classica, ultimamente».
Cos'è la musica?
«È una cosa straordinaria, perché ti colpisce al cuore in modo diretto e arriva all'anima. È un po' come l'innamoramento: ha la stessa capacità di sconvolgerti. Per me rimane un mistero».

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