Una risata vi seppellirà? Boh, forse, ma non sempre è così, perchè di risate gli «avversari» del comunismo se ne sono fatte tante, ma per vedere la sua ci sono voluti più di settant’anni. Per la Storia sono stati un periodo brevissimo, ma andatelo a raccontare a chi, sotto quel regime, ha anche pagato di persona l’irresistibile voglia di metterla sul ridicolo. Perchè il comunismo, come tutti i regimi dal «pugno di ferro», quanto a humor erano proprio a zero, e anche più in giù. La premessa è per presentare un libro che è molto, ma molto di più che una semplice raccolta delle battute più feroci sul comunismo. Perchè, se si trattasse solo di questa, si potrebbe parlarne in poche righe. Quello di Ben Lewis, «Falce e sberleffo», è un libro che vuole dare un ulteriore contributo a sbriciolare il castello di bugie e di soprusi sul quale il comunismo ha poggiato la sua stessa ragion d’essere, la voglia sfrenata di strangolare qualsiasi forma anche soltanto accennata dal dissenso. Un libro, «Falce e sberleffo», che riesce a fare capire cosa sia stato veramente il comunismo, raccontandolo dal di dentro attraverso le «invenzioni» di chi non aveva altra arma che quella di irridere per sorridere, La satira, quindi, più che strumento politico, è stata per molti e per decenni una forma di resistenza, di sopravvivenza. E in queste condizioni, la voglia di ribellarsi è un propellente eccezionale. La satira, al di là delle differenze geografiche nelle quali si manifesta, è sempre aggressiva, è sempre tranciante, lasciando - a differenze delle semplici barzellette - a chi ne è destinatario un retrogusto di amarezza, che prepara il campo della riflessione. Così nella Ddr il potere vestiva i panni dei Vopos, la polizia politica che da sola, con la sua esistenza, generava battute su battute, un pò come i carabinieri di casa nostra o, in Francia, come vengono considerati di belgi. Come quella che spiegava il perchè i Vopos andavano sempre in tre: uno sapeva leggere, l’altro scrivere e il terzo teneva d’occhio «quei due intellettuali». La satira, quindi, come strumento di lotta e per spiegare. Come, magari, si sentivano i ragazzi dell’Unione Sovietica che vedevano il loro presente, ma soprattutto il loro futuro nelle mani dello Stato. E quindi, con il solito giochino delle differenze, un ragazzo americano, poco prima di lasciarsi alle spalle gli studi, guardando al futuro dice di essere indeciso su cosa farà; il suo coetaneo sovietico dice di non sapere ancora cosa gli faranno fare. Una semplice vignetta può fare satira, se il regime non ti lascia altra arma.
Quindi, pochi tratti di matita per descrivere il comportamento di un lettore della Germania della Ddr che legge il giornale, su una panchina, e poi, a distanza di tempo e solo dopo essersi nascosto, si scioglie in una fragorosa risata sul contenuto degli articoli, che ovviamente erano ispirati dall’onnipresente partito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.