E ssendo il primo della lista, il candidato democratico Massimo Calearo ha l'invidiato privilegio dell'elezione garantita anche senza campagna elettorale. Doveva approfittarne fin dall'inizio, si sarebbe risparmiato un esordio catastrofico e una successiva ritirata poco onorevole. Walter Veltroni ha fatto un botto annunciando la «discesa in campo» del presidente dimissionario di Federmeccanica, il capo degli industriali di Vicenza che aveva l'inno di Forza Italia come suoneria del cellulare. Ma il suo «uomo nuovo» è accorso a Ballarò, si è fatto surclassare da Stefania Prestigiacomo e Daniela Santanché, ma soprattutto ha infilato una collezione di gaffe. San Mastella che ci ha liberato di Prodi. Visco che non deve essere rieletto. Un governo che non ne ha fatta una di giusta. Mai votato a sinistra. Nella poltrona accanto, il sottosegretario Enrico Letta è sbiancato. Nell'altra, Oliviero Diliberto si fregava le mani.
A Vicenza le reazioni sono state gelide. Quando il pullman di Veltroni ha fatto tappa nella città berica, al Jolly Hotel non lo attendeva nessun rappresentante dell'Associazione industriali (la terza d'Italia), soltanto qualche leader di categoria e il banchiere-viticoltore Gianni Zonin. Walter ha capito come si stavano mettendo le cose e ha smesso di impiegare l'imprenditore delle antenne come richiamo per le partite Iva del Nordest. Ora lo usa appaiato a Paolo Nerozzi, uno dei capi della Cgil. Nel vocabolario veltroniano Calearo e Nerozzi sono come Bibì e Bibò, Stanlio e Ollio, Simon & Garfunkel: fanno coppia fissa. Il sindacalista «ma anche» l'industriale. Calearo è stato costretto al silenzio, a non polemizzare più con chi lo provoca, a correre a Trieste ai convegni di Riccardo Illy per trovare un uditorio.
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