Una famiglia fra scoop e commozione

Una famiglia fra scoop e commozione

(...) chi viene con noi, da domani stipendio raddoppiato». Le adesioni furono immediate e numerosissime. Poi, la storia andò a finire male per un duplice ordine di motivi: da un lato, il progetto editoriale era troppo ambizioso e soprattutto mal impostato; dall’altro, come si sa, la carriera, gli affari e la vita stessa del Contadino Gardini vennero stroncate poco dopo. Prima che riuscisse a fare della Romagna il nuovo baricentro d’Italia, del gruppo Ferruzzi la prima impresa del Paese e a riportare la sua Ravenna ai fasti dell’impero bizantino.
Tutta questa premessa, per dire che - se fossi un editore genovese - prenderei in blocco la redazione di Genova del Giornale, raddoppierei immediatamente gli stipendi a tutti (ma, visto il rapporto costi-resa giornalistica potrei anche elevarli a potenza, mi converrebbe ugualmente) e cercherei di portarmela a casa, senza eccezione alcuna.
Ovviamente, è un paradosso. Hic manebimus optime. Ma dovete permettermi un po’ di legittimo orgoglio per i risultati straordinari che questo Giornale sta registrando negli ultimi tempi, grazie anche alla libertà assoluta che ci lascia il nostro direttore Mario Giordano. Solo per restare all’ultima settimana, abbiamo pubblicato sulla prima pagina nazionale due straordinarie inchieste della nostra Stefania Antonetti - che riesce abbinare una faccia tosta rara ad una scrittura a tratti letteraria e a doti umane davvero notevoli - sulla disapplicazione della legge 194 nella parte che riguarda il ruolo anti-abortista dei consultori e sulla possibilità di iscrivere i propri figli negli asili comunali genovesi con un’autostrada preferenziale per i figli degli immigrati clandestini (quindi, formalmente, fuorilegge), mentre per gli italiani ci sono spesso mille complicazioni burocratiche.
E poi, ieri, lo scoop - di cui, credetemi, avremmo fatto volentieri a meno - che ci ha permesso di raccontare come ci fosse una storia di fisco non pazzo, ma impazzito e di cartelle esattoriali fredde e senza cuore, dietro la tragedia di Tiglieto. «Dramma della solitudine», titolavano ieri tutti i giornali d’Italia e di Genova, tirando fuori dal guardaroba linguistico dei luoghi comuni tutte le parole a disposizione. Mentre, sulle nostre pagine, era possibile capire che il dramma, se possibile, era più dramma. Perchè l’unica, vera, solitudine, è quella di fronte alla quale si trova ciascuno di noi quando l’umanità si trasforma in burocrazia, l’uomo in numero, il caso personale in triste adempimento da ciambellani del nulla e avanzi di segreteria.
Circostanze queste che hanno aumentato la nostra sofferenza nel raccontare la tragedia di Tiglieto ed hanno trasformato una storia triste in qualcosa di ancor più triste. Che, però, nel cinismo del nostro lavoro era uno scoop, riconosciuto correttamente ieri solo da Donato Mancini dell’Ansa, mentre il resto dell’informazione faceva a gara a farlo proprio, senza citare la fonte e i più miseri attribuivano addirittura il merito ad altri. Noi non abbiamo mai fatto così e continueremo a non fare così, stiano pure tranquilli i colleghi. Ma, come dire?, ciascuno ha lo stile che si merita.
Quando abbiamo scoperto la verità sulla vicenda, l’altra sera, eravamo in redazione in quattro. Persino tanti, per i nostri standard. Ma è stata straordinaria la partecipazione di ciascuno di noi alle varie fasi della produzione, proprio come in una famiglia, come i lavori di gruppo dei tempi della scuola, dove veramente ciascuno era felice del risultato dell’altro. Perchè era il risultato del Giornale. Credetemi, non è normale, soprattutto in un mestiere di persone dall’ego smisurato quale è il nostro. Però è qualcosa di bello, che racconta in un modo diverso dal solito quello che facciamo, e mi piace condividerlo con voi.
Soprattutto, mi piace condividere i risultati del nostro lavoro con tutta la nostra squadra in redazione di Genova, di cui sono ovviamente orgoglioso; tre poligrafici (Davide Gaggero, Teresa Calcagno e Dunia Briata) e sei giornalisti: Diego Pistacchi, Ferruccio Repetti, Marina Sirtori, Monica Bottino e Giovanni Buzzatti, oltre a me. Chiaro che, a questo punto, agli amministratori delegati dei giornali concorrenti che possono contare su decine, quando non su centinaia di giornalisti, per fare lo stesso lavoro, spesso peggio, è già venuto un coccolone. Ed è altrettanto chiaro che una squadra così eccezionale merita lettori altrettanto eccezionali quali siete voi.
E poi sapete cosa ci è successo l’altra sera? Che eravamo in quattro ed in quattro avevamo le lacrime agli occhi. Perchè, persino nel nostro lavoro dove il cinismo è quasi un valore aggiunto al curriculum e in cui i sentimenti sono spesso considerati un difetto, è possibile commuoversi. E tutti, visto che questa è una redazione di persone vere, ci siamo commossi. Soprattutto, ci siamo commossi di fronte alle parole di Aldo Siri, la cui testimonianza è tanto più vera, quanto più è vissuta.
Posso testimoniare personalmente, che - quando l’ho chiamato con Ferruccio Repetti, ricordandomi delle volte in cui mi aveva raccontato con una passione più unica che rara che lui ha fortissimi legami con Tiglieto - Siri non riusciva quasi a parlare. Lacrime e singhiozzi soffocavano la sua voce e le sue parole. Non riusciva a darsi pace per l’omicidio-suicidio dei suoi amici e, soprattutto, non riusciva a darsi pace per non essere riuscito a convincerli che tutto si sarebbe risolto. E che anche l’eventuale viaggio a Cuneo per spiegare la loro posizione di galantuomini, non era il passaggio delle colonne d’Ercole. Invece, per loro, era qualcosa di più. Come era qualcosa di più tutto quello che stava fuori dal piccolo mondo antico dell’albergo-gioiello di Tiglieto.
Conoscendolo bene, posso testimoniare che Siri - presidente biasottiano del municipio del Centro storico, del Molo, di Carignano, di Castelletto, di Portoria, del Lagaccio, di Oregina - è una persona straordinaria. Con un’onestà assoluta, pari almeno al suo caratteraccio. Uno che tutto sembra fuorchè un politico.

Vorrei abbracciarlo anche a nome di ciascuno di voi, perchè l’ho sentito sinceramente ferito. Come se fosse morto un po’ anche lui.
Ecco, forse il segreto degli scoop è il più vecchio del mondo: l’umanità, i sentimenti, la passione.

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