La moschea di Segrate apre le porte a un centinaio di famiglie milanesi e a tanti curiosi, accorsi per togliersi «qualche dubbio e altrettante paure». Limam Ali Abu Shwaima spiega il significato delliniziativa, promossa in collaborazione con lOsservatorio di Milano nel giorno dellEpifania, che questanno coincide con la Festa islamica del Pellegrinaggio. «Una giornata da buoni vicini, per allontanare sospetti e pregiudizi. Le moschee sono luoghi di dialogo, non di chiusura ma di servizio agli altri. Per questo, concretamente, la nostra comunità ha deciso di dare il sangue per i propri fratelli italiani». Nel senso letterale del termine. A fine mattinata nellunità mobile per i prelievi si sono raccolte una ventina di sacche, e qualcuno è costretto a rimandare le operazioni alla prossima volta. «Che, vi assicuro, ci sarà. Siamo trasparenti, non abbiamo niente da nascondere», garantisce Shwaima.
Prima del buffet a base di cous cous e falafel, i visitatori si guardano attorno e muovono timidi passi allinterno della struttura. Li accompagna il parroco, don Franco Ocello. Unampia sala per le letture sacre e la ricreazione, lufficio dellimam, le aule in cui si insegna ai ragazzi dai 4 ai 14 anni «Corano, lingua araba e diritto italiano», i bagni per le abluzioni, il bar, le cucine. E, dopo aver attraversato un cortile interno, la moschea in senso stretto, dove il venerdì arrivano a riunirsi fino a 600 fedeli ad Allah. «In Italia cè maggiore libertà di culto rispetto ad altri Paesi europei - ammette Usama El Santawi, giovane rappresentante del Centro culturale islamico di Milano - eppure sul territorio italiano non ci sono mille moschee, come ce ne sarebbe bisogno, ma solo tre». La discussione si apre con la tavola già imbandita. I musulmani abituali frequentatori si ritrovano a tu per tu con gli ospiti nel salone. Si brinda con bibite gassate. Mario M.
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