Un famoso oncologo chiamato in Regione e poi «mobbizzato»

Un anno fa gli fecero lasciare la cattedra alla Sapienza, ora lo hanno messo alla porta

Nei corridoi della Regione Lazio clientelismo e simpatie personali, almeno in alcuni casi, potrebbero avere maggior peso di titoli, esperienza e meriti professionali. A suggerire questa riflessione è la vicenda capitata a Lucio Romano Marcellino, uno dei più apprezzati oncologi italiani, specializzato nella diagnosi precoce dei tumori e conosciuto in tutto il mondo per avere visitato circa un milione e mezzo di pazienti in 53 anni di attività.
Al professore, che fino a settembre gestiva un ambulatorio da lui aperto all’interno degli uffici della Regione, non è stato rinnovato il contratto, dopo che l’anno precedente, per consentirgli di svolgere quell’incarico a tempo pieno, gli era stato chiesto di lasciare una cattedra di ruolo alla Sapienza e il suo lavoro al Policlinico Umberto I. «Fatto ancora più incredibile - racconta Marcellino - è che il posto di direttore dei Servizi Sanitari è stato assegnato di punto in bianco al mio infermiere, e io sono stato sostituito con un membro esterno».
Il tutto è avvenuto da un giorno all’altro e senza una ragione apparentemente valida, pur non mancando i segnali che lasciavano presagire un epilogo di questa natura. «Da quando si è insediata la giunta Marrazzo - ricorda il professore - ho cominciato a subire tante, troppe pressioni. Mi hanno chiesto a più riprese di che partito fossi e mi hanno invitato a iscrivermi a un sindacato confederale. Di fronte al mio rifiuto ho assistito a una serie di disposizioni inspiegabili, come quella che mi negava l’uso delle stanze a me assegnate nelle giornate di giovedì e venerdì. Insomma, sono stato trattato alla stregua di un nemico da eliminare e mi hanno reso la vita impossibile».
Tutto ciò fino alla data del mancato rinnovo, che di fatto lo ha reso un disoccupato. Ma al peggio non c’è mai fine: il suo badge di accesso agli edifici sulla Colombo è stato immediatamente disattivato e la notte successiva alla scadenza del contratto sono state cambiate le serrature delle porte dell’ambulatorio, impedendogli persino di ritirare libri, camici e ricettari. «Questo è stato il ringraziamento per avere effettuato circa 4.500 visite solo nell’ultimo anno, assistendo gratuitamente e tramite le mie conoscenze svariate decine di dipendenti all’esterno della struttura. A oggi i miei oggetti personali sono ancora lì e mi trovo a ipotizzare che il mio posto servisse ad accontentare qualcuno», aggiunge il professore pieno di rammarico.
Abituato com’è a lottare contro la morte, visto che a causa del suo lavoro si è ammalato per due volte di cancro (l’ultimo è un sarcoma delle parti molli tipico da radiazioni), il professore ha deciso di non rimanere a guardare il suo progetto crollare in pezzi. Ha portato la vicenda in tribunale e ha chiesto un colloquio con l’assessore alle Risorse Umane Di Stefano, il quale «non solo si è scusato per l’accaduto - chiosa l’oncologo - ma mi ha promesso che nel giro di tre mesi mi avrebbe affidato un altro centro tumori più moderno nei locali di Lazio Service. Dal 5 settembre a oggi nulla si è mosso».

Ora Marcellino, che nella sua vita ha sempre cercato di percorrere strade straordinarie per aiutare gli altri, come quando da giovane è andato ad assistere i missionari comboniani in Africa e si è ammalato di tubercolosi, non ha che una richiesta, la più ordinaria e complessa che ci sia: non riconoscenza, ma giustizia.

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