Fangio e Schumi nella nebbia di Lambrate

C i sono pagine di libri che hanno dentro e si portano appresso voci, rumori, suoni di un’esistenza. E anche i profumi e i colori. Questo accade leggendo «Ho dato l’anima», scritto da Giorgio Terruzzi per Sperling & Kupfer editori. Dire forse che trattasi di un libro significa poco: visto, preso, letto, riposto. No. Stavolta c’è altro. Ci sono singhiozzi e risate, c’è sempre il gusto della memoria calda, con il padre, il padre di Giorgio dico, presente dentro e dietro ogni ricordo e questo vale più di ogni cosa; c’è la nebbia di Lambrate, ci sono le giacche di Schumi, c’è il Milan dei poveri, dunque roba vecchia, ci sono i terroni, roba ancora più vecchia, c’è Fangio sorridente, vecchio, gentile.
Le storie sono sedici ma dentro ognuna, come nel presepe con l’asinello e il pastore, il ruscello e il mulino, ce ne stanno altre mille, molto profumate, molto sentite, secondo usi e costumi dell’autore. Il quale, di solito, va di palla ovale e di gas, nel senso di rugby, automobili e motociclette da corsa, e queste discipline appartengono, in fondo, a un modo e a un mondo diversi dal resto del continente sport. Lo stile di scrittura sciolto, immediato, a volte sincopato, da sms, è però quello delle emozioni sincere e risulta uguale al millimetro a quello dell’affabulazione di Giorgio, tenuta viva da un tono di voce profondo.
Se gli uomini, raccontati da Terruzzi, hanno dato l’anima, come dice il titolo, le loro opere restano, anche quelle di chi non ha addosso l’insegna dell’atleta sportivo, dico Walter Chiari o Paolo Conte o Bacon. Dico di Beppe Viola che, come Franco, padre di Giorgio, resta una presenza dolcissima, doverosa, necessaria, preziosa dalla quale è impossibile fuggire e alla quale è bellissimo approdare.
Dunque la lettura suggerisce il ricordo per cose e situazioni andate, anche quando coinvolgono uomini presenti, contemporanei, Del Piero e Vale Rossi per dire ma non a caso, perché se a caso appaiono, come fiocchi di neve a primavera, poi prendono corpo e aiutano a comprendere prima i personaggi e poi le persone, senza mai ricorrere al buco della serratura ma sfogliando un diario personale, con gli appunti mai scritti e comunque evidenti.

Le fotografie a corredo de «Ho dato l’anima», non sono patinate ma sabbiate, brillano lo stesso, perché Walter Chiari che si specchia mentre si rade la barba ha due volti davvero, uno di sghembo e l’altro tristissimo, perché Del Piero è in ginocchio ma il suo numero 10 è più grande della Mole, perché Max Capuzzoni sta in mezzo a tanti ma è solo. Ormai solo.

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