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FANTAFASCISMO Racconti gialli in camicia nera

In un’antologia gli scrittori noir di oggi ambientano i loro thriller nel Ventennio, quando il genere era censurato perché esaltava «il criminale intelligente»

Il ventennio fascista ha avuto un effetto a dir poco dirompente sul giallo italiano. È stato contemporaneamente artefice e carnefice del suo successo. Infatti, a partire dal 1931 il regime fascista, preoccupato della massiccia invasione letteraria esterofila in collane di grande successo come quella dei Gialli Mondadori impose alle case editrici italiane di pubblicare almeno il 15 per cento di autori nostrani. Avvenne così un vero e proprio reclutamento di autori italiani di genere che, stimolati da questa richiesta editoriale, si cimentarono con successo nell’impresa. Furono poeti, giornalisti, commediografi, romanzieri, traduttori (da Alessandro De Stefani ad Arturo Gomez, da Gastone Simoni a Guido Vailati, da Alessandro Varaldo a Guglielmo) ma anche dame della buona società italiana come Magda Cocchia Adami e persino generali dell’esercito come Francesco P. D’Agostino.
Nel 1937 il Ministero della Cultura Popolare inviò alle case editrici un’ordinanza che intimava che nei gialli di produzione nazionale «l’assassino non doveva essere assolutamente italiano e non poteva sfuggire in alcun modo alla giustizia». È in questo periodo che Ezio D’Errico ambienta le storie del suo commissario Richard (emulo del Maigret di Simenon) mentre Giorgio Scerbanenco costruisce proprio allora il ciclo dell’archivista Arthur Jelling ambientato nella tentacolare Boston. Nel 1941 la situazione si irrigidirà ulteriormente e il Ministero della Cultura Popolare con un provvedimento definitivo decretò la chiusura di tutte le collane gialle presenti in Italia nonché il ritiro e la macerazione di tutti i titoli di quelle edizioni che contenevano (come riporta L'assalto del 30 agosto 1931) «bassa letteratura improntata sull’apologia del delitto e sull’esaltazione del criminale intelligente... Che ha un’influenza negativa sulla gioventù, favorendo, in maniera rilevante, la delinquenza minorile».
È sintomatico che proprio oggi, nel momento di massime vendite e celebrazioni del giallo nostrano si sia pensato di realizzare una preziosa antologia di racconti ambientati proprio nel Ventennio. La raccolta si intitola Fez, struzzi e manganelli (Sonzogno, pagg. 428, euro 18) ed è stata curata da Gianfranco Orsi che per anni ha diretto testate come Il Giallo Mondadori, Segretissimo e Urania e che ha riunito per l’occasione 26 scrittori che ci raccontano in chiave noir l’Italia del fascismo. Lo storico Arrigo Petacco sostiene che queste 26 storie di fantasia «valgano come altrettanti documenti storici». Gianfranco Orsi dal canto suo sottolinea come gli autori «abbiano narrato o storie di delitti, violenza, rapine, omosessualità, droga sotto il regime fascista con una libertà e una spregiudicatezza impensabili per i loro colleghi vissuti negli anni del Ventennio, quando erano costretti a scrivere con detective e personagii stranieri e dovevano descrivere Scotland Yard o la Sûreté parigina al posto della nostra polizia, per evitare di incorrere nelle maglie della censura che aveva messo la sordina anche alla cronaca nera». Vediamo così all’opera in Fez, struzzi e manganelli giallisti che appartengo un po’ a tutte le scuole nazionali da quella bolognese (che schiera Macchiavelli, Lucarelli, Fois, Comastri Montanari, Matrone) a quella milanese (con Cappi, Altieri), da quella romana (Leoni, Teodorani) a quella toscana (Nelli, Simi, Filastò, Gori) passando per quella napoletana (Iarrera, Lama) e quella ligure (Salvatori, Maggi).
Facendo qualche esempio: il maestro dell’action thriller Sergio Altieri costruisce per l’occasione un romanzo breve che ha per protagonista «L’unico fascista buono» e che contiene personaggi esemplari, il commissario dell’Ovra Osvaldo Prosperi, le cui certezze vanno in fumo davanti alla forza morale esemplare di un partigiano torturato come il Falco e davanti alla lucida velocità esecutiva di una killer di fascisti e nazisti come Lidia. Claudia Salvatori dal canto suo ribadisce la sua passione doc per i serial killer, rielaborando a modo suo, in «Anime amareggiate», le vicende di Leonarda Cianciulli e il lato umano della saponificatrice di Correggio attraverso il ricordo di suo zio Berto Salvatori che fu uno dei carabinieri che arrestò la celebre omicida. Giulio Leoni rivela ancora una volta la sua passione artistica per il futurismo e nel suo fulminante «Fascismo = velocità + ardore» narra gli eventi di un folle attentato a Mussolini che avviene sul treno che il 28 ottobre 1922 lo accompagnò per la sua Marcia su Roma. Ma la palma per il pastiche letterario più divertente ci permettiamo di darla al critico cinematografico Ernesto G.

Laura, che nel suo Un delitto a fumetti fa rivivere Cesare Zavattini, Federico Pedrocchi e Giorgio Scerbanenco in un giallo che si svolge nella redazione della rivista l’Audace nei giorni in cui venivano revisionate le tavole del fantascientifico «Il Paese senza cielo» e venivano messe all’indice dal fascismo le storie a fumetti di Tarzan (per evitare di cestinare decine di pagine già acquistate il personaggio dovette essere ribattezzato Sigfrido). I tre creativi in questione scrivono di getto un divertente thriller proprio per rispondere sfrontatamente all’imposizione censoria «minculpopiana», ma la loro fantasia anticiperà solo di poco la realtà.

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