
César Brie (1954) è un regista-attore argentino molto noto in Italia per una sua idea particolare di teatro, dovuta, soprattutto, al suo modo di coinvolgere lo spettatore, grazie ad una personale estetica del linguaggio scenico, mai di tipo naturalistico, essendo costruita su elementi sonori e mimici, dal forte impatto ideologico. In «Re Lear è morto a Mosca», in scena all'Elfo-Puccini, da oggi, 3 giugno, al 15 giugno, ha utilizzato la musica yiddish come mezzo drammaturgico, ovvero, come commento, inesorabile, a ciò che accade in scena.
È nota anche la sua predilezione per lo spazio vuoto che è solito riempire con oggetti poveri, tutti funzionali alla rappresentazione. Nella sua Compagnia non troviamo nomi famosi, per lui non è importante il ruolo, ma come lo si affronta.
Perché Re Lear è morto a Mosca? Per un episodio accaduto realmente al Teatro Goset, fondato nel 1919 da Marc Chagall, nella capitale russa, nel quale aveva accolto le istanze delle avanguardie europee, considerato, al tempo di Stalin, molto pericoloso, tanto che due attori ebrei che vi interpretavano Re Lear, verranno uccisi, per ordine del dittatore russo, facendo passare l'omicidio per una disgrazia.
Si tratta di Salomon Michoels, diventato nel 1928 direttore del Goset, che muore, nel 1948, perché investito da un furgone e Venjamin Zusckin, suo successore, condannato per aver immaginato un teatro d'Arte non incline al realismo russo, dato che utilizzava linguaggi diversi, dalla musica, alla danza, al mimo, al canto, con una attenzione particolare alla comicità grottesca e che, dopo quattro anni di carcere, verrà fucilato.
Si scoprirà che il mandante era stato Stalin e loro saranno ricordati come vittime delle logiche e della censura comunista. C'è chi avanzò l'idea che fossero morti come Lear e Cordelia. Insomma, «Re Lear» non andò in scena. Anche César Brie concepisce la regia come un lavoro che vede impegnato un collettivo di attori, al quale chiede di evitare ogni rapporto che abbia a che fare col teatro realistico, facendo ricorso a diverse forme della spettacolarità per raggiungere dei risultati non convenzionali.
Per questo spettacolo, egli ha ideato un piccolo sipario a metà del palcoscenico, sormontato da un grande ritratto di Stalin, dal quale entrano ed escono gli otto attori protagonisti della pièce che faranno un uso drammaturgico degli oggetti di scena, come una scala, che diventerà scrittoio e giaciglio o come il coperchio di una grande bara, con una evidente stella di David, che verrà usato come un secondo sipario.
Gli otto artisti sono concepiti come otto corpi, a dimostrazione di come il teatro di Cesar Brie sia molto fisico, oltre che multidisciplinare, perché li sentiremo cantare, li vedremo danzare, oltre che muoversi come marionette, grazie a dei fili che scenderanno dall'alto.
La scrittura scenica di César Brie è di tipo spaziale ed evita ogni ingombro scenografico. Partire da un palcoscenico vuoto, non è assenza di qualcosa, bensì l'inizio di qualcosa che, però, va riempita con l'energia degli attori e della loro fisicità, evidenziando il principio della creazione collettiva.
Non contento, César Brie fa iniziare lo spettacolo immaginando che Salomon Michoels si ritrovi nel regno dei morti dopo il suo funerale, da dove racconterà la sua drammatica storiaccia, tanto che il regno dei vivi finirà per confondersi col regno dei morti,
proprio come nella «Classe morta» di Kantor.Attenti alla trasformazione del famoso monologo di Lear: «Soffiate venti fino a farvi scoppiare le gote» che diventerà: «Spegnete i lumi e soffiate il dolore; si chiude il sipario».