In un corsivo anonimo - e dunque riferibile al direttore - che il Corriere della Sera ha dedicato ieri al «caso Fazio», era scritto testualmente che «si è lasciato alla magistratura lonere di difendere le istituzioni». Non voglio entrare - altri se nè già occupato anche su queste colonne - nella polemica tra il maggior quotidiano italiano e Palazzo Chigi. Rilevo invece che cè qualcosa di inquietante in una frase che riporta a una stagione ormai abbastanza lontana della vita pubblica, e che di quella stagione rievoca i fantasmi e ripropone i dubbi.
Da varie parti ci si è chiesto ultimamente se sia in atto una seconda Tangentopoli, o se stiamo assistendo a qualcosa di diverso. Allinterrogativo è stato risposto, nelle più varie sedi, che no, non siamo in presenza duna riedizione di «mani pulite». Diverso era il contesto, diverso il tipo di corruzione - allora prevalentemente politica, ora prevalentemente bancaria - diverso lapproccio giudiziario. Anche perché non esistono più, come soggetti di prima grandezza, i partiti sui quali si abbatté, fino a distruggerli, loffensiva della Procura di Milano. Che ora si tratti daltro lhanno scritto molti commentatori, lha detto anche Silvio Berlusconi.
Probabilmente hanno tutti ragione. Ma quello duna magistratura che sola e pura sergeva contro il malcostume nazionale fu il dogma - da certuni espresso, da altri sottinteso - di Tangentopoli. La magistratura era il bene, la classe politica era il male. Tempo passato, si osserverà. Ma in questo nostro tempo viene ancora affermato che una latitanza delle istituzioni politiche e delle istituzioni economiche ha fatto sì che la magistratura dovesse farsi carico di compiti non suoi. Questa mi sembra proprio la vecchia musica. Non ho indulgenze né per il degrado tangentizio di qualche decennio fa né per le trascorse negligenze o indelicatezze di Antonio Fazio.
Ma il termine «onere» mi pare improprio per definire il ruolo delle Procure e dei giudici in alcune vicende. Quell«onere» non era e non è sofferto, era anzi agognato. Li abbiamo conosciuti tutti i magistrati «divi» che sullonda della popolarità tangentizia sono diventati autori di libri, conferenzieri, parlamentari, leader di partiti o di partitini. Riconosco che Francesco Greco non appartiene alla categoria dei presenzialisti narcisi. È serio. Tuttavia linsidia della popolarità è grande. Meglio astenersi dallincentivarla attribuendo alla magistratura una missione salvifica e redentrice che non le compete: e che, quando fa da sottofondo alle decisioni dei giudici, può portare a conseguenze aberranti. (Pongo qui come inciso qualche mia perplessità sullurgenza e sulla indispensabilità della carcerazione dun personaggio rampante - e a me molto antipatico - come Gianpiero Fiorani. Meglio, se possibile, che il carcere ci sia dopo una condanna, non prima).
La magistratura, chiariamolo ancora una volta - e in particolare la magistratura penale - non ha come obbiettivo la difesa delle istituzioni. Che trovano tutela nella Corte costituzionale, nel Parlamento, in altri organismi elettivi. Ha lobbiettivo di perseguire e punire i reati commessi da singoli individui, perché la responsabilità penale è personale. Accade, e ne siamo tutti lieti, che in questo suo lavoro giudiziario la magistratura assolva anche un compito civico, dimostrando la colpevolezza di personaggi investiti di incarichi importanti. Ma questo discende dalla sua attività primaria, la punizione dei reati, non ne è la premessa.
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