Luc Besson è come era François Truffaut, un adulto di successo memore d'esser stato un bambino trascurato. Appena può, racconta infatti l'infanzia di chi ha i genitori distratti. Il primo accenno è ne Le grand bleu; il secondo in Arthur e il popolo dei Minimei, tratto dal suo libro omonimo (Mondadori). Ma per le ricostruzioni d'ambiente l'intimismo retrospettivo costa tanto e rende poco, perché chi va al cinema è giovane e ha pochi ricordi, mentre chi ha molti ricordi, non va al cinema. Così Besson avvolge le rimembranze con un’avventura fantastica, che evoca quelle di Bug's Life e Antz. Nella prima parte di Arthur spicca il corrosivo quadretto dei genitori, contrapposto all'affettuosa descrizione della nonna (Mia Farrow). Anche qui è immediato il paragone con Tim Burton - coetaneo di Besson - che dieci anni fa caratterizzava Mars Attacks! come omaggio alla nonna.
Arthur si svolge nel Massachusetts (in realtà s'è girato in Normandia) dell'estate 1960. Il personaggio principale, Arthur (Freddie Highmore), compie dieci anni, quando un creditore sta per prendersi la casa della nonna. Unica speranza, il segreto delle carte del nonno, già esploratore in Africa, che conduce a un tesoro sepolto nel campo di casa. Per trovarlo, Arthur troverà modo di unirsi ai Minimei, popolo di minuscole dimensioni e grande longevità (sono elfi), e salvarli dalla distruzione. Ciò dopo aver estratto, come Artù, la spada dalla roccia, ed essersi innamorato di una principessa.
Senza brillare per originalità, Arthur è un film snello e accurato, pensato per il mercato americano, pur evocando tradizioni europee e pur evitando le volgarità di Giù per il tubo e le ridondanze del Signore degli Anelli.
ARTHUR E IL POPOLO DEI MINIMEI di Luc Besson (Francia, 2006), con Freddie Highmore, Mia Farrow. 102 minuti
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