Per fare bene la killer servono le ripetizioni

Per la Deitch, che davvero nella vita ha fatto l'insegnante di ripetizioni, si tratta del primo romanzo, anche se ha già scritto per diverse testate losangeline, compreso il Los Angeles Times

Per fare bene la killer servono le ripetizioni
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Evie Gordon pensava di non passarsela troppo male. Certo niente a che vedere con le sue colleghe di college piene di soldi che si erano permesse di fare una facoltà umanistica senza nessuna preoccupazione sul come tirare a campare.

Dare ripetizioni a ragazzine ricche per sopravvivere al debito contratto per l'università, in fondo, non era così male, soprattutto nella tenuta di Beverly Hills della famiglia Victor. La figlia dei Victor, Serena, è davvero ok. La casa poi è letteralmente un maniero e si porta dietro tutto il fascino della vecchia guardia delle star di Hollywood.

Tutto svolta sul surreale solo quando all'improvviso, una domenica, trova l'enorme portone di quercia della magione completamente aperto. Lei entra, si muove per le stanze piene di pezzi d'arte sino ad arrivare alla piscina blu cobalto del giardino interno. Lì la calma dorata delle ripetizioni ben pagate si interrompe per sempre. C'è il corpo di Dinah, la madre di Serena: «Al suo fianco c'era una pietra sporca di sangue». Poco più in là quello del padre: «Peter aveva la testa immersa nello stagno. Il viso e il collo erano di un viola bluastro».

Sarebbe già un incubo così ma quando Evie rientra in casa per chiamare la polizia all'improvviso sente chiamare aiuto. Riesce a sfondare la porticina, nel sottoscala, da cui arrivano le implorazioni, a spallate e trova una donna legata col cavo elettrico ad una trave. «Aveva addosso un odore terribile... una maglietta gialla che avevo il sospetto fosse stata bianca... un caos di capelli arruffati, neri e biondi, con radici così unte che sembravano bagnate». Evie la libera, capendo che quella casa è molto diversa da come se l'è immaginata sin lì, che ci sono segreti molto brutti nascosti anche sotto il lusso.

Ma non ha il tempo di mettere assieme i pezzi affilati di questo puzzle grottesco. Passa infatti in un lampo da testimone della scena di un delitto ad indiziata numero uno. E deve darsi alla fuga trascinandosi dietro la donna misteriosa - e chiusa in un feroce mutismo su tutto quello che è successo - nel disperato tentativo di trovare i veri colpevoli prima che tutta la sporca faccenda le venga irrimediabilmente scaricata addosso. Inizia così il romanzo abilmente sospeso tra il pulp e il noir di Hannah Deitch, appena tradotto in Italia per i tipi di Marsilio: Killer Potential.

Per la Deitch, che davvero nella vita ha fatto l'insegnante di ripetizioni, si tratta del primo romanzo, anche se ha già scritto per diverse testate losangeline, compreso il Los Angeles Times. Eppure la macchina del thriller funziona davvero bene, giocando con ironia col femminismo e sì, ovviamente, con lo stereotipo cinematografico di Thelma & Louise. Però evita ogni buonismo woke, il che rende tutto molto divertente con venature acide e furiose che possono ricordare Uccidi i tuoi amici di John Niven.

E alla fine il rimando vero di tutta la vicenda non è così Hollywoodiano o cinematografico, punta a un mito più profondo e radicato. Come dice ad un certo punto la protagonista: «Non eravamo semplici killer: eravamo donne killer, figure mitologiche... Eravamo Bonnie e Bonnie. Clyde non pervenuto».

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