di Mario Vitale*
Da 25 anni sono neurochirurgo; mi sono laureato a 25 anni e con grande entusiasmo ho iniziato la faticosissima carriera del neurochirurgo; prima a Verona, poi come primario presso l’Ospedale regionale di Bolzano, ora come direttore della neurochirurgia di una struttura privata accreditata della Romagna. Ho sempre scelto la strada più faticosa che però mi collocasse nelle strutture di eccellenza del nostro Paese. In 25 anni sono cambiate molte cose, in peggio, tanto da svilire la nostra professione che oggi è senza dubbio la più «sputtanata». Mai infatti il gradimento della classe medica aveva raggiunto, nella media nazionale, così bassi indici.
Colpa dei medici, colpa della politica, colpa della globalizzazione? Non saprei ma le cause possono essere riassunte spero chiaramente in alcuni punti.
a) La riforma della sanità del 1990 ha dato ampi poteri alla politica di nominare i direttori generali i quali, provenienti da esperienze manageriali le più disparate, e privi di qualsiasi preparazione in ambito medico, hanno ampia facoltà di scelta dei direttori di reparto e dei servizi ospedalieri; oltre ad applicare abbondantemente «la propria pancia» nelle scelte personali dei responsabili sanitari, spesso senza alcuna motivazione scientifica o di referenze.
b) La sanità pubblica viene oggi amministrata con criteri puramente economici al fine di far quadrare a fine anno il bilancio a scapito della qualità della prestazione sanitaria; noi direttori di reparto, senza alcuna preparazione specifica dobbiamo ogni anno discutere il «budget» di gestione del nostro reparto dovendo anno per anno economizzare la spesa pena la mancata riconferma dell’incarico dopo 5 anni; un anno si deve ridurre la spesa radiologica cioè razionalizzare la richiesta degli esami radiologici; l’anno dopo si devono ridurre del 6% le richieste di farmaci utilizzando farmaci meno specifici e meno costosi con ovvi risultati; l’anno dopo ancora vanno selezionati i tipi di interventi chirurgici e aboliti gli interventi ritenuti onerosi in termini di «manpower» come amano dire i nostri direttori e di spesa di sala operatoria. Un intervento rivoluzionario potrebbe essere bocciato dalla direzione amministrativa perché troppo costoso.
A questo scopo vengono assunte dai nostri direttori delle società di consulenza che affiancano i primari nell’arduo compito e che costano all’anno non meno di 250mila euro. Tutto questo per consentire ai direttori generali di autopromuoversi a fine anno grazie agli obiettivi raggiunti; si tratta di galloni da mettere sulla divisa? No, si tratta di prebende pari all’8/10% del trattamento economico dell’anno precedente (30-40mila euro in più all’anno, oltre ai minimo 200mila euro già accordati).
c) La pletora di avvocati che scorrazzano in Italia ha aperto una nuova stagione, nera, nel campo dei risarcimenti per supposta malasanità. E non mi riferisco a casi eclatanti di pazienti morti per errori marchiani o a vicende sciagurate, ma alle richieste di rimborso per supposti danni materiali e morali che ormai il 25% dei pazienti avanza anche per interventi riusciti ma che hanno in qualche modo lasciato qualche strascico rimediabile. Le richieste di indennizzo sono aumentate del 400% negli ultimi due anni, anche a causa della crisi economica; un po’ come accade per il gioco d’azzardo, in tempi di crisi si cerca di centrare il colpo che ti risolve i problemi. Per esempio un operato per ernia del disco lombare può seguitare a lamentare dolori (veri o falsi) persistenti anche dopo l’intervento tecnicamente riuscito; troverà immediatamente un avvocatucolo di periferia e un prezzolato medico legale che con la promessa di chiedere la parcella solo a processo vinto scatenano una guerra di perizie al fine di concordare con l’assicurazione del medico curante un accordo extragiudiziale. Basta che il consenso informato che il paziente firma prima dell’intervento sia in qualche modo «incompleto» o «mendace». Le assicurazioni pagano senza motivo pur di evitare un processo e poi si rivalgono sui medici che non riescono più a trovare compagnie disposte ad assicurarli. Risultato: oggi ci vediamo costretti come accaduto negli Stati Uniti a ricusare il paziente; in altre parole, se il paziente mi puzza di essere portatore di guai, lo escludo dalla indicazione chirurgica e se questo può portarlo a morte o a disabilità permanente non è più affar mio; tutt’al più mi becco una condanna per imprecisa diagnosi. Oggi tutti gli operatori sanitari stanno riducendo le prestazioni sanitarie o meglio le rendono più blande, non rischiose, non attaccabili con il risultato di abbassare enormemente la qualità.
d) La sfiducia nei medici apre il grande capitolo del fai da te via internet; la gente si informa sui blog e sui forum, si confronta; discute delle terapie subite e le consiglia o le sconsiglia e vale molto di più un parere di uno sconosciuto su internet che quello del medico specialista in ambulatorio. Drammi umani si consumano su google dove più di un paziente ha interpretato la propria «sclerosi dei piatti vertebrali» (una normale artrosi da consumo) con la sclerosi multipla. E provate voi a convincerlo che ha preso un abbaglio. Sono finiti i tempi romantici della professione medica intesa come modus vivendi e operandi; la missione alta e qualificante.
*Medico chirurgo, primario di Neurochirurgia
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