Per fare neri i luoghi comuni della storia

Scrivi Africa e scrivi stereotipi. Da sempre, la vulgata sul «continente nero» ha risentito infatti di cliché, per di più ormai desueti. A cominciare da armi e battaglie: chi pensa a esempio che lo ius ad bellum sia una prerogativa tutta occidentale si sbaglia.
In Africa, già nel IX secolo, «le guerre innanzi tutto andavano chiaramente annunciate prima di essere iniziate» e «l’annuncio preventivo permetteva al gruppo minacciato di preparare la difesa, mettere al riparo le persone meritevoli o bisognose di protezione, conservare adeguatamente i raccolti: una battaglia vinta grazie al fattore sorpresa non aveva significato sociale». A raccontarlo è ora Alberto Sciortino: L’Africa in guerra (Baldini Castoldi Dalai, pagg. 441, euro 18,50) è il saggio più aggiornato sui conflitti degli ultimi vent’anni.
Le cose non vanno meglio se si passa a sculture e a pitture. Come ricorda Ivan Bargna in L’arte in Africa (Jaca Book, pagg. 72 euro 19), da almeno dieci secoli lo stereotipo colonialista vuole che ci sia «una supposta “africanità” come involucro unificante di un intero continente». Nulla di più falso. Ecco perché l’autore, docente di Etnoestetica alla Bicocca di Milano, ne rovescia l’angolo prospettico. È così che «da come l’Occidente ha “visto” l’Africa si passa a come l’Africa ha influenzato l’Occidente».
Ma il cliché più duro a morire è forse quello della magia.

In L’Africa e la stregoneria (Laterza, pagg. 271, euro 22), l’antropologa Alice Bellagamba racconta le incomprensioni legate all’immagine di negromanti, per riscoprirne invece l’importantissimo ruolo sociale, lontano anni luce dai più radicati luoghi comuni.

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