Un legame pericoloso che va monitorato e prevenuto: studiosi del Korea University Ansan Hospital hanno scoperto il legame tra ictus e le apnee notturne di cui soffrono milioni di persone in Italia e nel mondo. Per questa ragione l'Osas (Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno) è una chiara priorità per la sanità pubblica vista lòa sua enorme diffusione ma anche le poche diagnosi che ne seguono.
Cosa dice la ricerca
Pubblicato sulla rivista Jama Network Open, la ricerca ha preso in esame quasi 1.500 persone per otto anni scoprendo che le apnee del sonno aumentano di più del doppio (2,14 volte) il rischio di micro-emorragie cerebrali. Queste lesioni, singolarmente asintomatiche, sono un campanello d'allarme e un fattore che nel corso del tempo aumenta i rischi di ictus e demenza. È soprattutto per le persone con almeno 15 apnee all'ora che i rischi sono aumentati del 7,25% nell'arco di otto anni.“Dato che l'Osas è un fattore di rischio modificabile, la patologia da moderata a grave dovrebbe essere un obiettivo prioritario per la diagnosi precoce e la prevenzione dei futuri eventi cerebrovascolari e del conseguente declino cognitivo”, ha spiegato il professor Stefano Di Girolamo, Otorinolaringoiatra Ordinario presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata il quale mette in guardia dai rischi e dall'avere una maggiore consapevolezza.
I numeri in Italia
Nel nostro Paese sono circa sette milioni gli adulti che soffrono di apnee notturne e due milioni i casi più gravi. Tra questi, soltanto il 4% ha la consapevolezza grazie alla diagnosi: di conseguenza, si stima che un numero maggiore dell'80% delle persone colpite non sia consapevole di soffrire di questa condizione e che la prevalenza nella popolazione tra i 30 e i 69 anni sia stimata intorno al 20,5%. Nel mondo i numeri sono enormi e parlano chiaro con circa 935 milioni di persone ad avere questa patologia nella fascia d'età compresa fra 30 e 69 anni.
Cosa succede nel cervello
Un'altra recente ricerca pubblicata sulla rivista scientifica "Brain and Behavior" ha indagato sul ruolo dell'ossigeno come possibile biomarcatore per i deficit cognitivi collegati all'apnea ostruttiva del sonno. Nei pazienti affetti che ne soffrono diventa meno efficiente il modo in cui viene estratt l’ossigeno dal sangue soprattutto nella corteccia frontale, ossia l'area preposta alla memoria di lavoro.
"I risultati di questi studi aggiungono dei tasselli fondamentali al quadro clinico dell'Osas, legando direttamente le apnee notturne al rischio neurologico cronico, come la demenza. L'ipossia intermittente, cioè la carenza di ossigeno durante la notte, danneggia il cervello in modo silenzioso", aggiunge Di Girolamo. "È essenziale che il forte russamento e la sonnolenza diurna vengano riconosciuti come sintomi primari, non come semplici fastidi, e che si proceda rapidamente alla polisonnografia, l'esame diagnostico fondamentale. Curare le apnee del sonno non significa solo migliorare la qualità della vita, ma è una vera e propria strategia di neuroprotezione".
Quali terapie
Innanzitutto, le apnee notturne si manifestano spesso in pazienti obesi e in sovrappeso per i quali il primo approccio terapeutico è la perdita di peso.
Clinicamente, poi, si consiglia anche l'uso della Cpap, un dispositivo meccanico (una maschera) che supporta la respirazione notturna del paziente. Quando si rendono necessari interventi chirurgici questi sono personalizzati e cambiano in base al punto di ostruzione delle vie aeree: naso, cavo orale o ipofaringe.