C era stato un precedente: quella sensibilità barocca che, sebbene avesse condannato gli eccessi dellabbigliamento, era sempre rimasta soggiogata dalla meraviglia, dallingegno delle macchine artificiali, dal sentimento delleffimero e dalla dissimulazione. E unopera secentesca di Torquato Accetto (non a caso amata da Giorgio Manganelli, ingegno barocco) si chiama proprio Della dissimulazione onesta. Vi troviamo questa graziosa, quanto tenebrosa illustrazione della bellezza corporale: «Tutto il bello non è altro che una gentil dissimulazione, dico il bello dei corpi che stanno soggetti alla mutazione». Occultata in un secolo che giudichiamo remoto, ecco la modernità che sgorga: lungi dallessere astuzia di spiriti mediocri, la dissimulazione dei corpi - coltivata anche grazie al gioco di maschera e finzione dellabito - diventa per Accetto la severa disciplina di chi crede nel Dio della fine del mondo.
Tutte idee che in qualche modo tornarono utili ai grandi profeti della modernità, attenti anche ai risvolti minimi della trasfigurazione che ha disegnato l'uomo nuovo dell'era industriale; e tra quei risvolti anche il rapporto che la moda ha intrattenuto con la società. In una delle sue aguzze intuizioni, Nietzsche individua la sostanza liberatoria della moda, la sua capacità di donare pacatezza. Nellaforisma 209 di Umano troppo umano II, afferma che quando il singolo è soddisfatto della propria forma, induce gli altri a imitarlo e crea a poco a poco la forma dei molti, vale a dire la moda: «Se si considera quanti motivi ogni uomo ha di essere inquieto e di nascondersi timorosamente, e come i tre quarti della sua energia e della sua buona volontà possono essere paralizzati e resi sterili da quei motivi, bisogna allora essere molto grati alla moda, in quanto libera quei tre quarti e procura fiducia in sé».
E dopo Nietzsche ecco Baudelaire, altro grande profeta della modernità. Memorabile la definizione che si accende nel Pittore della vita moderna: «La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dellarte, di cui laltra metà è leterno e limmutabile». Dunque la metà immutabile può essere riconosciuta solo sulla base della metà fuggitiva, e in ciò la moda - fenomeno moderno capace d'imporre lidea del bello mediante la foggia degli abiti - torna assai utile. Quella moda, come ancora ci rivela Baudelaire, che è trionfo dellartificiale sulla natura, «sintomo del gusto dellideale, che galleggia nel cervello umano al di sopra di tutto ciò che la vita umana vi accumula di volgare, di terrestre e d'immondo, come una deformazione sublime della natura». I due concetti si sposano in Baudelaire, profilando quel rapporto speculare che fa della modernità il tempo effimero della moda, e sempre sullo sfondo di quel luogo artificioso e innaturale che è la metropoli. È qui, nel labirinto delle sue strade, che soavemente si smarrisce la figura innaturale per eccellenza: il flâneur, la creatura che più intensamente di ogni altra sa godere della sofisticata bellezza della città. Certo, finita nelle gore del mercato, lavventura della moda ha perso laureola originaria, come infine ha intravisto Walter Benjamin riflettendo proprio su Baudelaire e sulla rete della sua flânerie, le strade di Parigi. Ma ormai, sebbene decaduta in merce, la moda ha impiantato la propria inestinguibile essenza di effimero che permette d'intuire limmutabile.
Sono queste le riflessioni che hanno permesso di consacrare, sul piano letterario, il fenomeno della moda. E da quel momento sono stati molti gli scrittori che vi hanno speso ingegno, facendo di quel mito un tema che percorre le lettere degli ultimi due secoli, da Leopardi (con loperetta morale Dialogo della moda e della morte) alla figura primo-ottocentesca del dandy, da Balzac a Zola, da Wilde a Proust, dal Mallarmé che cura una rivista femminile alle preziose descrizioni di D'Annunzio, dal cosmo delle donne fatali al tentativo di palingenesi dei futuristi, e così via, lungo le tappe di De Pisis, Savinio, Moravia, Irene Brin e Gianna Manzini, per sfociare nella leggera ironia con cui lo spirito mondano di Arbasino, arbitro di eleganza, tratta appunto della moda.
Un mondo incantevole ora narrato, con nitide e risolute pennellate, da Daniela Baroncini - guarda caso saggista esperta proprio delle persistenze barocche nella letteratura moderna - in La moda nella letteratura contemporanea (Bruno Mondadori, pagg. 154, euro 16).
Il fascino effimero della moda da Proust ad Arbasino
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