Laura Cesaretti
da Roma
«Nessuna questione morale ci tocca», giura Piero Fassino dal podio dellassemblea dei segretari di sezione del suo partito. Assemblea che si è trasformata ieri in una grande cerimonia di auto-assoluzione della Quercia e della sua leadership investita dallo scandalo Unipol, con tremila quadri di partito in piedi ad acclamare il segretario in lacrime e con Massimo DAlema che orgoglioso annuncia: «Abbiamo rotto l'assedio e abbiamo respinto l'aggressione».
Un«aggressione» con ogni probabilità destinata a continuare, mette le mani avanti Fassino, perché «Berlusconi proseguirà nella strategia di delegittimazione nei nostri confronti. Non esiteranno a ricorrere alla denigrazione personale, allo spionaggio delle nostre vite, alle insinuazioni calunniose, continueranno a infangare noi e il movimento cooperativo. Ma noi lo lasceremo solo, e chiederemo agli italiani di liberare l'Italia da lui e da questa destra irresponsabile». Il segretario chiama in causa lintero corpo dei Ds, spiegando che il caso Unipol non riguarda solo un gruppo dirigente finito nella bufera, ma è unarma politica brandita contro tutta la Quercia e i suoi militanti. «L'aggressione di queste settimane», afferma, non riguarda «solo D'Alema, me, Sposetti o altri dirigenti. Attaccavano il nostro partito, quello che rappresentiamo, cercavano di delegittimarci sul piano morale per dimostrare che la politica è tutta uguale. A questo noi non ci stiamo, respingiamo la campagna di aggressione a noi e alle regole di convivenza civile, all'idea del rapporto tra politica e società». E i segretari di sezione, accorsi in massa a Roma, rispondono allappello, con una standing ovation che dura minuti scandita dal grido «Piero, Piero», e lui li ringrazia con voce rotta «per laffetto e la solidarietà che avete mostrato a me e a Massimo, per la passione in queste settimane difficili».
Applausi e cori da stadio anche per DAlema, che attacca a testa bassa Berlusconi indicandolo come lunico vero burattinaio delle vicende che han fatto finire lui e Fassino sotto i riflettori del caso Bancopoli. Il premier, accusa, è «un giocatore cinico e grottesco, che va in Procura a denunciare un non reato ma poi non ci vuole andare a rispondere dei reati». Che «usa politicamente le Procure come sede di propaganda elettorale e di intimidazione degli avversari». Un «re Mida alla rovescia: tutto quello che tocca lui perde di credibilità agli occhi di milioni di italiani». DAlema confida di aver vissuto «momenti di amarezza», e ricorda che per lui «non è la prima volta», e che anche Bettino Craxi lo chiamò in causa per Tangentopoli, con laccusa di finanziamenti illeciti. Ma naturalmente la magistratura «attestò che erano crimini mai avvenuti». Contro i ds, afferma riferendosi probabilmente anche agli alleati, ci sono «rancori non sopiti», grazie ai quali «quando cercano di metterci sotto è impressionante vedere in quanti accorrano. Come se dovessimo pagare un conto che viene da lontano».
Applausi calorosi anche per il tesoriere Ugo Sposetti, lunico a non aver rinnegato Gianni Consorte il giorno dopo la pubblicazione delle intercettazioni, e ad aver coraggiosamente rivendicato di essergli ancora «amico», che rassicura la platea diessina: «Potete tornare nelle vostre città con la convinzione che siamo un partito pulito, di gente per bene che mette ogni risorsa al servizio del suo Paese». Il sigillo sulla pacificazione interna di fronte all«aggressione» lo mette il capo del Correntone Fabio Mussi, che alza la bandiera della «superiorità» etica dei post-Pci: «Abbiamo riconosciuto di aver commesso degli errori politici e questo è un atto di forza. Parliamo di errori politici però, nessuno può contestarci di aver commesso reati per fare soldi. Nessuno può sollevare un'ombra su Fassino, D'Alema e i Ds. Chi ci prova troverà un muro». Ma Mussi dà anche laltolà al Partito democratico prodiano: «Credo nell'Unione, in un programma comune, ma non nell'unificazione tra Ds e Margherita, l'Italia ha bisogno di una sinistra autonoma e socialista».
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