Politica

Fassino scende dall’Aventino ma l’Unione lo lascia solo

Il segretario Ds propone alla Cdl di concordare modifiche alla legge elettorale. Bertinotti «contrarissimo». Prodi: la battaglia si fa fino in fondo

Luca Telese

da Roma

È andato fuori tempo, come un ballerino che perde la battuta, e finisce fuori dalla file quando la musica finisce. Ieri Piero Fassino ha incassato un doppio colpo, uno dalla sua coalizione, e uno dal centrodestra.
Una proposta a sorpresa. Di prima mattina, infatti, nelle mazzette dei palazzi della politica faceva bella mostra l’intervista del segretario dei Ds a Il Messaggero, un tentativo di cambio di marcia dopo il fallimento del muro contro muro a Montecitorio sulla nuova legge elettorale: «Noi continueremo la nostra battaglia in vista del voto al Senato - spiegava Fassino - e avanzeremo, come abbiamo fatto fin qui, proposte che consentano a questo Paese di avere una legge elettorale più civile e più degna». Insomma, tra anatemi e scongiuri, una chiara apertura al centrodestra: «Ebbene - si domandava Fassino - io chiedo alla destra: volete continuare nel muro contro muro, sapendo che una radicalizzazione dello scontro si estenderebbe fatalmente a tutta l'attività parlamentare, a partire dalla legge finanziaria? Oppure volete cambiare atteggiamento?».
L’Unione scettica. Roba da restare increduli: o era una mossa calcolata, sapendo di ottenere un ritorno positivo, o era davvero una piroetta nel vuoto. Anche perché i primi dubbi erano proprio quelli dei compagni di strada di Fassino. Ma come, per una settimana l’Unione - e il segretario dei Ds in prima fila - avevano gridato al colpo di stato, e adesso riaprivano come se nulla fosse accaduto, lo spiraglio di una possibile trattativa? Le prime dichiarazioni di scetticismo arrivano dalla stessa coalizione di centrosinistra, tra i partiti alleati stupiti di questo cortocircuito fassiniano, quello di chi un giorno costruisce barricate e invoca l’Aventino, e quello dopo si augura un «inciucetto» riparatore. Dice Fassino a Berlusconi che il Senato «non è un ufficio fotocopia» e sogna qualche correzione tardiva.
Bertinotti «contrarissimo». Il primo gesto che fa perdere ogni prospettiva alla sua apertura è il niet di Berlusconi; il secondo la doccia scozzese di Fausto Bertinotti, che impegnato nel suo giro nelle periferie di Bari sillaba una stroncatura micidiale: «Sono contrarissimo». Due parole, una lapide. Due parole non casuali, perché senza fare polemica rafforzano il profilo del candidato di Rifondazione anche in vista delle primarie di domani.
Poteva finire qui, invece anche Romano Prodi, leader di tutta la coalizione, si rivela altrettanto freddo sulla proposta del segretario diessino: «Faremo in modo che la legge sia bloccata al Senato - ha annunciato il Professore -, facciamo la battaglia fino in fondo, non la facciamo solo in un pezzo».
Il no dei Verdi. Quanto ad Alfonso Pecoraro Scanio, la sua dichiarazione è quasi sprezzante: «Quella di Fassino era solo una provocazione. Noi sappiamo bene che questa legge è irriformabile». E poi, quasi con un sospiro di sollievo: «Il rifiuto così sfacciato di Berlusconi conferma che non volevano nessun dialogo: hanno pensato solo a chiudere l’accordo per l’ennesima legge fatta su misura, che è tra l’altro incostituzionale e illegale». Per non dire di Oliviero Diliberto, che ieri, a nome dei Comunisti italiani, era stato forse il più duro a censurare la nuova legge: «È un patto iniquo e uno scambio ignobile». In fondo il paradosso è tutto qui: malgrado le alte grida, nell’Unione sono molti che si sono fatti i conti e hanno scoperto che con la nuova legge guadagna forza e rappresentanza. Ieri a Montecitorio hanno persino dovuto fare le fotocopie per ristampare il nuovo best seller di Montecitorio. Quale? La simulazione dell’ufficio studi della Camera che ha ipotizzato cosa accadrebbe con la nuova legge: i Comunisti italiani, i Verdi, la Lista Di Pietro e il Pdci raddoppierebbero tutti la loro rappresentanza parlamentare. Così, la mossa di Fassino è un segnale di debolezza, che rivela la vera paura del segretario diessino: finita la battaglia parlamentare, il rischio è che tutti si facciano i conti.

E che l’Unione rompa le file.

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