Roma - Nell’estate 1936 Zinov’ev e Kamenev nel primo processo politico dell’era staliniana confessarono di essere controrivoluzionari dopo aver «assaggiato» i metodi democratici della polizia politica sovietica. L’imputato contumace era Lev Trotzkij che, fuggito in Messico, non riuscì a evitare la condanna.
A 71 anni di distanza, ieri a Roma si è celebrato un altro processo politico. Il comitato nazionale dei Radicali ha approvato una mozione del fondatore Marco Pannella che mette sotto accusa l’eterodossia del «figliol prodigo» Daniele Capezzone. Il documento propone «una mobilitazione perché venga immediatamente resa pubblica tutta la documentazione su deputati e senatori nell’esercizio della loro funzione».
Di primo acchito, la mozione potrebbe apparire l’ennesima denuncia sull’assenteismo dei parlamentari. Ma è lo stesso Pannella a precisare che si sta parlando del «radicale che ha avuto il massimo di esposizione mediatica». Cioè del presidente della commissione Attività produttive della Camera. «Ho un senso di saturazione», ha spiegato l’anziano leader, verso «un assenteista nei confronti dei suoi doveri parlamentari». Le accuse si fanno sempre più circostanziate. «Lui - ha aggiunto Pannella - fa l’extraparlamentare ogni giorno e ritiene di non avere miglior arma che insozzare la figura radicale». Allo stesso modo, è stato rimproverato al resto del partito di non aver «reagito» rispetto a quella che viene considerata una situazione difficile.
La requisitoria pannelliana si è conclusa con un’ulteriore imputazione a carico di Capezzone: l’aver «ignorato» l’articolo 49 della Costituzione (la libera associazione ai partiti «per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale»). «Auguro a Daniele - ha terminato - di gestire il Network (la sua nuova iniziativa; ndr) in totale contraddizione rispetto a come è stato deputato». In un successivo intervento su Radio radicale, invece, Pannella ha chiarito che la sospensione dalla rassegna stampa del giovane deputato non è «un bavaglio», ma è «ampiamente motivata» dalla sua decisione di mettersi fuori dal partito.
Il comitato nazionale dei radicali, infatti, ha duramente criticato le esternazioni capezzoniane, liquidate come «attacchi al governo, alla maggioranza e alla Rosa nel Pugno». Perché il punto è tutto lì: i quotidiani pungoli a Prodi & C. non sono piaciuti ai compagni di partito, e soprattutto a Pannella.
Il ministro delle Politiche europee, Emma Bonino, è stata altrettanto dura. «Il partito non è un autobus: ci si entra e ci si sta con delle regole e ci si confronta in qualche organo». La cancellazione della rassegna? «Stampa e regime non è un format della Endemol». L’assenza di Capezzone al comitato? «Preferirei non sentire vittimismi, preferirei che nelle istituzioni nelle quali si lavora vengano realizzati progetti come si dovrebbe. Penso che gli italiani abbiano diritto a un buon presidente della commissione Attività produttive». Glaciale Sergio D’Elia, ex Prima Linea e ora segretario di presidenza della Camera. «Capezzone - ha detto - è ultimo tra deputati e presidenti di commissione per presenze».
Alla fine, il comitato ha approvato la mozione con 28 voti favorevoli e 7 contrari. Il deputato Bruno Mellano ha cercato di farla votare per parti separate di modo da non impegnare i radicali contro Capezzone, ma è stato stoppato da Pannella. Una componente, al termine della votazione, si è autosospesa in polemica con i vertici.
La replica del diretto interessato è piena di amarezza. «Non posso negare - ha dichiarato - di essere allibito e addolorato per il livello degli attacchi di Emma Bonino e di Marco Pannella». Per Capezzone l’anatema radicale è «la brutta copia di una fatwa». «Fino a pochi mesi fa ero “buono e bravo” e ora sono “brutto e cattivo”?», si è chiesto.
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