Faziosi anche sulla morte

I pretesti con cui il governo ha tentato di spiegare, e dunque legittimare, la mancanza di una cerimonia solenne di carattere nazionale per il terzo anniversario della tragedia di Nassirya, non hanno potuto occultare la semplice verità. La verità è che da questo esecutivo e da questa maggioranza il ricordo della strage, in cui caddero i militari italiani, non è sentito come un pegno di solidarietà e di condivisa commozione patriottica: è sentito come un momento di imbarazzo, un qualcosa che evoca problemi piuttosto che eroismi, che non unisce ma divide. E allora si è optato per celebrazioni fredde se non intime, accompagnate da discorsi la cui genericità era pari solo alla sostanziale ambiguità.
Intendiamoci, l’assemblea di Montecitorio s’è raccolta nel rituale minuto di silenzio, prima di riprendere le risse finanziarie. Ma l’uomo che la presiede, il rifondatore Fausto Bertinotti, non s’è lasciato sfuggire pur nella circostanza cerimoniale l’occasione di mettere alcuni punti sulle «i». Bertinotti - cui almeno dobbiamo essere riconoscenti per uno sprezzo delle convenienze che non si addice alla terza carica dello Stato, ma che almeno porta elementi di chiarezza - ha in testa per l’Irak un’idea precisa: i poveri morti di Nassirya non erano in missione di pace ma in missione di guerra. Per questo Bertinotti s’è riferito ieri, in aula, alle divisioni del Parlamento e del Paese per quanto riguarda il conflitto iracheno.
Gli scopi della missione sono stati oggetto di polemiche infinite, sviscerati fino allo sfinimento. Era proprio indispensabile rievocare le asprezze di quel dibattito politico mentre si rendeva omaggio al sacrificio di uomini che non furono mossi da alcuna pulsione di parte e che semplicemente fecero il loro dovere? Era proprio indispensabile gettare ombre e dubbi sull’azione di coloro che a Nassirya si sono immolati dopo aver cercato di far del bene, tra la popolazione locale? L’eccesso di polemiche parve a suo tempo sterile ed eccessivo: adesso appare anacronistico e offensivo.
Dimenticare Nassirya, questa sembra la parola d’ordine. Il risultato è che con la cancellazione della cerimonia nazionale e con la sua parcellizzazione, da parte delle istituzioni, in micro cerimonie settoriali, si è sollecitata nell’opposizione la comprensibile volontà di supplire, con iniziative proprie, a ciò che il governo non ha fatto. La giornata della memoria e del lutto è così sembrata una giornata di dispetti e punzecchiature. Ha ragione Casini, c’è di che vergognarsi di fronte alle famiglie di chi non c’è più.
Ciò che è avvenuto preoccupa per i suoi risvolti morali e psicologici, preoccupa ancora di più per i suoi risvolti politici. Anche coloro che nel governo sono portatori di valori della tradizione - non dubito che lo sia il ministro della Difesa, Parisi - subiscono l’intimidazione, la pressione, il ricatto della sinistra estrema.

Pronta a sottoporre tutto e sacrificare tutto - il bilancio e le sorti economiche del Paese come le pagine di tristezza e di gloria della sua storia più recente - agli imperativi dell’ideologia e della fazione. E nemmeno i morti possono riposare in pace.

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