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Dal Fellini di «Amarcord» al Tarkovskij di «Nostalghia», lavorò con i più grandi

I giovani incanagliti dal furto del loro futuro detestavano quel suo spot che imponeva ottimismo, via merce acquistabile a Unieuro. Ma adesso che Tonino Guerra, aedo del tormentone pubblicitario L’ottimismo è il profumo della vita, è morto a Santarcangelo, dov’era nato il 16 marzo del 1920, la nuova generazione verrà a sapere che, un tempo, si spendevano vite esemplari. Come quella dell’«Omero romagnolo» che ha legato il suo nome a una cospicua parte del miglior cinema italiano: da Federico Fellini a Francesco Rosi, da Vittorio De Sica a Michelangelo Antonioni,ai fratelli Taviani redivivi, Guerra ha costruito centoventi sceneggiature di ferro per i nostri registi ancora noti e amati all’estero, dove non si contano omaggi e retrospettive intorno a un certo modo di raccontare il mondo. Un modo all’antica, certo, con un preciso lavoro di scrittura che, nascendo dal cuore contadino e dall’esperienza della guerra, dava solida intelaiatura ai sogni di celluloide. Così non campa per aria la nostalgia del felliniano Amarcord, Oscar nel 1974; né pestano il mortaio d’un risentimento politico fine a se stesso gli undici film civili architettati con Francesco Rosi: da Il caso Mattei (1972) a Cronaca di una morte annunciata (1987), per tacere di Cadaveri eccellenti (1976) e Dimenticare Palermo (1990), stiamo parlando di irripetibili schegge d’eccellenza.
E infatti il vulnus del cinema nazionale, ora, è l’assenza di autori come Tonino Guerra, laureato ad Urbino nel periodo postbellico, accompagnandosi a maestri come Carlo Bo e non rinunciando alla qualità della scrittura, in nome della cassetta. Anzi, spesso coniugando pretesa letteraria e successo al botteghino. Da romagnolo sanguigno,questo firmatario di molti classici del cinema mondiale, capace di lavorare con il russo Andreij Tarkowskij (Nostalghia) e con l’americano Steven Soderbergh (Eros), con il francese Jacques Deray (Morti sospette) e con il greco, appena scomparso, Theo Anghelopoulos Il passo sospeso delle cicogne), fiancheggiava i registi con umile affetto. Tonino sapeva stare un passo indietro, ma spanne avanti, quanto a sentimenti e competenza. Sono nate così tante ciambelle col buco, che in vetrina profumano ancora, come Matrimonio all’italiana (1964) elaborato - in sede di scrittura - con Castellani, Bernardi e Benvenuti e vincitore di Nastri, David e altri riconoscimenti. Né fu facile partire da una commedia di Eduardo e approdare sul grande schermo con una versione popolare, ma alta. Eppure mamma Guerra era analfabeta, fu il figlio a insegnarle a scrivere. «Sul foglio nascosto nell’astuccio di cartone dei suoi occhiali trovai scritto: “Lasio tutti i miei beni a mio marito da fare tutto quello che vole”»,ha raccontato Tonino, spedito dal padre a rifocillare il gatto nella casa abbandonata per via dei tedeschi. Era il ’43 e lui, all’epoca maestro elementare, finì nel campo di concentramento di Troisdorf, dove iniziò a scrivere poesie in dialetto romagnolo.

Dieci anni dopo, eccolo a Roma, nella Hollywood sul Tevere, «russo per parte di moglie», dopo le seconde nozze con Nora Iablotchina. Pronto a conquistare il mondo del cinema, che ieri, giustamente, ha celebrato uno dei suoi esponenti più talentuosi e ricchi d’umanità.

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