Inseriamo la parola «immigrazione» nellapposito spazio per la «ricerca nel catalogo» di un sito Internet fra i più svegli, in tema di novità librarie. Diciamo www.wuz.it. Risultato: 32 volumi. In quattro mesi, perché tutti i libri in questione sono usciti questanno. Fanno 8 al mese: 2 a settimana. Con «immigrati» ci si ferma a 10, con «migranti» a 7. Non in tutti i titoli compare la parola prescelta: ecco «stranieri», «badanti», «identità», «clandestini», «lavavetri»... Questione di taggatura, quel meccanismo di apparentamento fra le parole che le tiene insieme come le perle di una collana. Ma anche questione di moda e modi. Intingere la penna nei colorati calamai dei nostri ospiti venuti da lontano sta diventando una moda, un vezzo, una captatio benevolentiae.
Al netto dei lodevoli manuali e strumenti variamente tecnici, e se allarghiamo lorizzonte alla saggistica «politicamente corretta» scopriamo che limmigrato un posto di lavoro lo trova. In libreria. Solo che a trarne profitto non è lui, che ne avrebbe tanto bisogno, bensì altri. Che potrebbero farne a meno.Il fenomeno Limmigrato trova lavoro. Nei titoli dei libri
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