Per rubare il cellulare a qualcuno che lo sta usando bisogna avvicinarsi da dietro e sfilarlo con due dita: in quella posizione la vittima, il gomito alzato e la mente distratta dalla conversazione, sarà sorpresa e non avrà il tempo di opporsi. «Furto con destrezza», recita una formula indulgente, quasi ammiccante al ladro. E il ladro scappa, e a Napoli non si può più vivere, e cosa fa la polizia e dovè lo Stato e così via. La protagonista di uno dei racconti di Valeria Parrella (Per grazia ricevuta, minimumfax, pagg. 106, euro 9,50), invece, reagisce. Stringe forte il telefonino, colpisce allo stomaco lo scippatore, e furiosa per la rapina sventata non le basta vederlo accasciarsi senza fiato. «Allora lavevo fatto. Lavevo preso a calci in faccia, sulla testa, avevo urlato Tu non lo puoi fare, tu non lo puoi fare. Ci avevano raccolto dal marciapiede, a me senza forze e a lui che sanguinava, che aveva quattordici anni ed era svenuto. Io ero stata portata in un altro ospedale, in stato di shock; quando lavevo potuto lasciare con unimputazione di eccesso di difesa, Lucio come avvocato difensore e dieci testimoni oculari che stragiuravano che avevo fatto bene, ero andata a trovare il ragazzo in corsia. Allentrata del reparto il padre si era represso a stento: era già diventata una città in cui una donna può ammazzare di botte un ragazzino, ma era ancora una città in cui gli uomini non picchiano le donne».
È giusto che vi sia un «caso Parrella» e questo brano, che raggiunge spedito il proprio obiettivo attraverso ripetizioni, cadenze rubate allitaliano dei napoletani e una sintassi disordinatamente accumulativa, lo dimostra a sufficienza. Non solo per il celebrato talento, già evidente nella precedente raccolta di racconti Mosca più balena (minimumfax, 2003) e qui riaffermato con vigore, quanto perché la scrittrice napoletana possiede qualità ormai rare, che riabilitano la figura del letterato e la rendono necessaria. Maturità, onestà, lucidità intellettuale che non sfonda la realtà né la surroga, lambiziosa umiltà di mettersi allascolto di modelli esemplari: questi gli ingredienti schietti, veterocanonici alla base di un successo autentico e di una popolarità che ci si augura continui a crescere.
Valeria Parrella ha 31 anni, la foto sul volume ci mostra i tre quarti di una ragazza: ma scrive come unadulta. Avevamo dimenticato, in un mondo dove narratori quarantenni tardano ad emanciparsi dalladolescenza e si arrabattano a fare gli spiritosi o i trasgressivi, la dimensione, il peso che può raggiungere una pagina se chi tiene la penna in mano non è preda di un immaginario fatuo. Onestà: perché la letteratura è menzogna ma cè una menzogna onesta e unaltra disonesta, e tra le due passa una distanza maggiore di quella che separa la menzogna dalla verità. Quando la spacciatrice del primo racconto, «La corsa», finge di non accorgersi che gli uomini che le chiedono una dose di cocaina sono in realtà dei poliziotti in incognito, e anzi ne approfitta, e si fa arrestare per tagliare i ponti con una vita passata in mezzo alla strada, noi possiamo anche segnare a margine un punto interrogativo con il lapis; ma non quando leggiamo «soprattutto tornai indietro con la roba, con i piedi miei verso le guardie, perché ero stanca, e quando sono stanca preferisco credere che tutto va bene». Se cadere volontariamente in trappola è inverosimile, è credibile lindolenza attiva che genera macchinalmente il cambiamento desiderato. Lucidità intellettuale: chissà da quanto tempo non capitava di imbattersi in uno scrittore che riuscisse a mimare con tale dettaglio lo snodo tra società, economia e psicologia, il ganglio che da sempre in letteratura è «la realtà» per eccellenza e degrada le altre faccende a quantité négligeable. Una percezione del reale tanto intima da spingere verso il fatalismo (e pensiamo in particolare al tono di Elena Ferrante, che ha qualcosa in comune con quello di Parrella). Già il titolo di questa raccolta, del resto, sembra alludere ad una recalcitrante dimestichezza con un bene arbitrario, casuale, non conquistato: Per grazia ricevuta, appunto, locuzione papalina, borbonica, da prima repubblica, o cattolica di un cattolicesimo sbagliato e malato. Ciò che in genere distingue il romanzo dalla novella è che nel primo si assiste a unevoluzione macroscopica dei personaggi sotto la pressione degli eventi; cosa che manca qui, dove gli attori sono più spesso colpiti, dislocati, che non trasformati dal contesto. E naturalmente manca leroe, colui che modifica il mondo piuttosto che farsi modificare da esso. Forse è per questo che dopo Mosca più balena leggiamo ora non un romanzo, come ci si sarebbe aspettati, ma una nuova silloge di racconti che pronunciano una diagnosi, lasciando la prognosi avvolta in un riserbo che si spera non sia troppo pessimistico; e linflessione è a tratti di rassegnazione stoica, di indignazione viscerale ma controllata. Un che fare? lasciato sospeso tra lo scandalo e la rinuncia, o almeno la perplessità. Per pudore? Certo, anche per pudore; spetterà ad altri, alla loro intelligenza e generosità, passare allazione spudorata.
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