Fenomenologia di Umberto Eco: un dilettante di gran talento

Esiste il fenomeno - che secondo i tifosi del Milan è Zlatan Ibrahimovic e secondo i filosofi è l’apparenza delle cose- ed esiste il noumeno - che secondo i filosofi è la realtà inconoscibile delle cose e secondo tutti gli altri è una parolaccia. Poi c’è la fenomenologia che sarebbe lo studio di un fenomeno da parte di un cervellone, una roba seria seria.
Però, in queste categorie e lemmi un po’ muffi, ci mise lo zampino, tanti anni or sono, Umberto Eco con la sua Fenomenologia di Mike Bongiorno, breve saggio pubblicato all’interno di Diario Minimo (1961) che fece infuriare il buon Mike, uno davvero difficile da tirare fuori dagli stracci. Fu l’inizio del suo successo come maître à penser, quasi un icona del postmoderno. Adesso però qualcuno gli ha restituito lo scherzo analizzando la sua decennale imago culturale e pubblicando il risultato con il titolo Fenomenologia di Umberto Eco (Baskerville, pagg. 182, euro 22, introduzione di Paolo Fabbri). Il semiologo Michele Cogo - allievo di Paolo Fabbri e Omar Calabrese- ha ripercorso il percorso dell’Umbertone nazionale: dagli studi su San Tommaso e le dotte dissertazioni di semiotica sino alla divulgazione ironica, alle «Bustine di Minerva». Ovviamente dando spazio anche all’Eco romanziere tradotto in decine di Paesi. Nel saggio, s’è sfogliato quasi 50 anni di giornali, prende atto del fatto che Eco non ha realizzato innovazioni teoriche di rilievo. Da cosa deriva allora la sua fama? Deriva dalla sua capacità di provocare «movimenti tettonici» all’interno della cultura italiana che, 50 anni fa, era del tutto ingessata, capace solo di prendersi molto sul serio, mentre gli sfuggiva come si andasse trasformando la vita quotidiana. Un terremoto che non nasce da una vera e propri rottura, ma da pieghe, inflessioni, spostamenti, slittamenti prodotti da Eco a colpi di ironia.
Cogo definisce Eco un dilettante, nel senso letterale e buono del termine: uno che agisce per divertirsi, con un senso di responsabilità verso il proprio diletto, capace di prendere in giro anche ciò in cui più crede. Solo che il diletto, è contagioso, perché quando uno si diverte è più facile riesca a coinvolgere entusiasmare anche chi lo ascolta, specie se usa anche riferimenti della cultura di massa, come fa appunto Eco che, per primo, ha mescolato cultura alta e bassa, Dante e i fumetti, filosofia e pop music. Ed è sfruttando questo miscuglio ben studiato come propellente che lo studioso dei miti contemporanei si è esso stesso trasformato in un mito contemporaneo. O in un frattale come spiega Paolo Fabbri nella prefazione: «Eco è un oggetto geometrico che cambia aspetto a seconda dei luoghi d’osservazione. La sua personalità creatrice la si ritrova intatta in ciascuna delle varie attività che svolge». Tanto che i giornalisti si sprecano a raccontarci aneddoti sulla sua vita e quando si taglia la folta barba, diventa una notizia che fa il giro del mondo.
Peccato però che l’eco delle invenzioni di Eco sia molto meno originale.

Come ha spiegato Stefano Bartezzaghi, alla presentazione del volume, non se ne può più di gente che per fare la spiritosa intitola il suo libro «La fenomenologia di...». Cogo escluso ovviamente: il suo è pan per focaccia.

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