Gianandrea Zagato
Quando Gabriele Albertini stravinse, nel 1997, il candidato dei salotti radical-chic scelse di scomparire dal consiglio comunale. Gli sponsor dellindustriale Aldo Fumagalli si disperarono non poco: Gae Aulenti, Rosellina Archinto e la confraternita delle madame de Staël garanti della sua candidatura scoprirono che non era stato sufficiente linvestimento di risorse e relazioni sociali.
Nove anni dopo la storia si ripete. Quella Milano che sognava di lasciare a casa la signora Letizia e che, nel salotto di casa Crespi, si sdilinquiva davanti allex prefetto in salsa buonista, rischia infatti di perderlo: laspirante sindaco del centrosinistra fa sapere di avere già preparato le valigie, «vado via». Uscita di scena se, avverte, non gli saranno date «garanzie»: «Non mi basta guidare lopposizione» ovvero vuole essere protagonista del progetto politico post-sconfitta e non solo ricoprire il ruolo di sindaco-ombra.
Pretesa che lex inquilino della prefettura avanza dopo aver sprecato un paio di giorni a dare pagelline elettorali, a scrivere sulla lavagna i nomi dei «compagni» buoni e di quelli cattivi. Anzi, di un solo cattivo: Bruno Penati che, secondo Ferrante, «a un certo punto si è messo a parlare di ballottaggio, mentre io sostenevo che la partita si sarebbe risolta al primo turno: mi sono stupito, era come se Penati sminuisse la portata di questo confronto, invitando a giocare sulla difensiva». Accusa di frondismo che non avrà certo quella conseguenza vagheggiata nei rumors di via Fortezza, sede Ds, allindomani del voto: per Ferrante non ci sarà un futuro in Provincia.
Porte sbarrate a Palazzo Isimbardi per chi, mezzo stampa, avvisa che «non ho più un lavoro, qualcosa dovrò pur fare». Come dire: il semplice cittadino Ferrante che, il 4 novembre, ha «mollato tutto» - «per dimettermi o anche per prendere solo unaspettativa, avrei potuto aspettare fino a un mese prima delle elezioni» - si trova cinquantanovenne a guardarsi intorno. Impresa, in verità, non disperata con un curriculum di tutto rispetto come il suo da grand commis dello Stato. Orizzonti dove ci sarebbe un posto alla vicepresidenza alla Banca Popolare di Milano ma pure unofferta che potrebbe arrivargli dal gruppo di Salvatore Ligresti ma anche un incarico di rappresentanza in una società di Carlo De Benedetti.
Di tutto e di più che Ferrante nega, anche se tenta di assicurarsi un «futuro» non da pensionato: «La mia idea è continuare ad occuparmi di Milano, ma devo pensare anche al mio futuro». Chiaro? «I miei orizzonti sono prevalentemente milanesi» anche se sullagenda cè un impegno romano, un faccia-a-faccia con Piero Fassino e Francesco Rutelli.
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