Laspirante sindaco Bruno Ferrante smentisce il prefetto Bruno Ferrante. Spettacolino surreale che va in scena al posteggio taxi di porta Romana, dove lex rappresentante dello Stato incontra una delegazione di tassisti. Mezzoretta spesa per garantire ai conducenti delle auto bianche che, loro, sono «vittime e non colpevoli»: «Siete stati additati come colpevoli quando invece eravate vittime della politica del traffico della giunta Albertini». Applausi di chi non crede alle proprie orecchie.
«Con voi è mancato il dialogo che invece deve esserci con tutte le categorie. Con voi non cè mai stato il confronto. Anzi, si è esasperato il conflitto quando le soluzioni si potevano trovare». Standing ovation dei tassisti stupefatti dal Ferrante in versione doubleface, che replica con un sorriso. Quello che mancò alla Milano messa in ginocchio dagli scioperi selvaggi dei tassisti. Giornate di protesta contro laumento delle licenze - duecentottantotto in più oltre le quattromila e passa preesistenti - che, ancora, i milanesi dalla memoria buona non riescono a dimenticarsi tranne, evidentemente, lex prefetto. Che in quella vicenda ebbe un ruolo determinante, quello del mediatore che continua stancamente a riproporre come «metodo»: «Il problema non è essere daccordo tutti, un sindaco deve decidere ma è necessario il confronto».
Visione fallita come emerge dalla rilettura delle cronache ambrosiane di quei giorni. Che videro Ferrante non considerare «vittime» i tassisti bensì «colpevoli». Opinione di chi, allindomani del 30 gennaio 2004, confidò alla stampa di sentirsi «amareggiato del loro (dei tassisti, ndr) comportamento» perché «il mio appello a manifestare nel rispetto delle regole non è stato ascoltato». Come dire: quelle manifestazioni valutate da Ferrante «fuori dalla legalità e senza rispetto del diritto alla mobilità dei cittadini» minavano ogni possibilità «di relazioni corrette con le Istituzioni».
Sì, gli scioperi delle auto bianche impedivano «relazioni corrette con le Istituzioni».
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