Ferrari, da Avanguardia operaia a funzionario in Regione

«Non parlo con Il Giornale, buon giorno» clic. È sempre rassicurante parlare con un comunista duro e puro, perché in un mondo in continuo cambiamento, rappresenta comunque un punto fermo. Fermo agli anni ’70 per la precisione, quando Saverio Ferrari inseguiva i «fascisti» con la spranga. Mica un pettegolezzo, una delle sue imprese più riuscite fu nel ’76 l’assalto a colpi di mazze e molotov al bar di Largo Porto di Classe, quando mandò all’ospedale tre avversari politici, uno dei quali rimase a lungo in coma. L’altro giorno è finita con qualche spinta e due schiaffi tra lui e Canu, abbastanza però per far andare la memoria agli anni di piombo, quando Ferrari faceva parte di Avanguardia Operaia. Dal servizio d’ordine di questo gruppo uscirono poi gli assassini del vice brigadiere di polizia Antonino Custra e del giovane missino Sergio Ramelli. Oltre a sprangare, attività che gli è costata una condanna a 11 anni, poi ridotta a cinque e infine ai 3 anni e due mesi poi passati in giudicato, Ferrari ha sviluppato una meticolosa capacità di archivista, foto, indirizzi, dettagli di tutti i nemici di classe: carabinieri, poliziotti, giornalisti, politici, sindacalisti e ovviamente «fascisti». Nel suo «covo» di viale Bligny vennero trovati centinaia di obiettivi, tra i quali anche Ramelli.

Entrato in Rifondazione Comunista e diventato funzionario in Regione, ha continuato il suo impegno di archivista attraverso il suo sito «Osservatorio democratico sulle nuove destre» che ha partorito «Da Salò ad Arcore - la mappa della destra eversiva», pamphlet di 160 pagine, allegato nel 2006 all’Unità. Ora ha messo su qualche chilo, perso parecchio pelo e altrettante diottrie, ma all’interno gli rugge sempre lo «spirto guerrier» di foscoliana memoria. E quando incrocia un nero, lui vede sempre rosso.

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