Le Ferrari «on the road» conquistano l’America

Gli Stati Uniti visti attraverso l’abitacolo delle Rosse, impegnate nel «Panamerican»: il racconto della tappa da Houston (punto di partenza la sede della Nasa) al quartiere francese di New Orleans, dalle paludi del Mississippi all’Ocean Drive di Miami

Pierluigi Bonora

nostro inviato a Houston

Il testimone lo raccogliamo più o meno a metà dell’impresa. Il compagno di avventura, un collega cinese, è rimasto bloccato a Pechino. Pochi giorni prima di partire per gli Stati Uniti ha smarrito il passaporto. A nulla è valso il tentativo di mediazione della Ferrari. Dalle autorità flessibilità zero. E di documento sostitutivo non se ne parla proprio. Il collega rimane a terra. Sarà per la prossima volta. Eccoci, allora, senza il potenziale cambio alla guida.
L’altro equipaggio, sempre composto da due giornalisti cinesi, non si tocca. La prima parte della tappa è di 600 chilometri, dai grattacieli di Houston al «Vieu Carré», il quartiere francese di New Orleans dove gli appassionati del Cavallino attendono il ciclone Ferrari: l’arrivo, cioè delle due 599 Gtb Fiorano (una rossa e l’altra blu: motore di 12 cilindri, 620 cavalli di potenza, sprint da 0 a 100 orari in 3,7 secondi) che alla fine del «Panamerican 20,000» avranno bruciato più di 32mila chilometri. Dalla città di Louis Armstrong, le cui periferie portano ancora i segni della devastazione causata dall’uragano Katrina, si farà quindi rotta sulla Florida: altri 800 chilometri per raggiungere la città universitaria di Gainsville e, da qui, verso Tampa, le Everglades e infine Miami. Quasi tutta autostrada, costeggiando prima il Mississippi e poi le paludi infestate dagli alligatori. Rispetto alle tappe precedenti, quelle centro-sudamericane in particolare, il paesaggio è piuttosto monotono: lunghi rettilinei e strade a sei corsie che invitano a darci dentro con l’acceleratore.
Meglio non farsi prendere dall’eccitazione, però, visto che da queste parti la polizia è molto severa e finire davanti al giudice per aver superato i limiti è facile come bere un bicchier d’acqua. Esperienza capitata al team-leader Enrico Goldoni che, ironia della sorte, è stato beccato con il tachimetro poco sopra le miglia previste fra Tampa e Miami ma non alla guida di una Ferrari, bensì di una vettura della carovana al seguito dei bolidi: un’Alfa 159, vera rarità - per ora - da queste parti. Per lo sfortunato conducente mani bene in vista appoggiate sul cruscotto, rigoroso silenzio e lo spettro di finire nel posto di polizia più vicino con le inevitabili ripercussioni sull’intero raid. Alla fine, l’inaspettata soluzione dell’«incidente». Una volta presa coscienza della «mission» del gruppo («ah! siete italiani...?!»), radiografata da cima a fondo la 159 e accertata la buona fede di Enrico, l’agente, a sorpresa, dà il via libera e tutto finisce con le raccomandazioni di rito insieme a una maglietta e un cappellino ricordo.
Soffre, dunque, la nostra «rossa» che solo in rare occasioni riusciamo a fare sfogare tra la goduria degli altri automobilisti. Il rombo è incredibile e anche con il motore al minimo è impossibile non avvertirne la presenza. Si parte da Houston, proprio dal quartier generale della Nasa dove all’interno di un hangar è conservato il gigante dei giganti: il razzo Saturno V che ha accompagnato le missioni degli astronauti sulla Luna. Poco distante c’è la palazzina che ospita, intatta (l’unica differenza è che i particolari non sono più nel bianco e nero dei televisori di allora), la sala di controllo che ha guidato lo sbarco sul satellite dell’Apollo 11. Ma questa volta il conto alla rovescia è per il «lancio» delle due Ferrari. Destinazione, come detto, New Orleans. La temperatura è mite e nelle ore centrali della giornata fa piuttosto caldo. Le due Ferrari sono collegate tra loro e il resto della carovana (due Alfa Romeo 159 e tre furgoni affittati dopo che i doganieri avevano bloccato i Daily Iveco, con tutto il loro carico, al confine Messico-Usa) tramite ricetrasmittenti. Ad alternarsi al microfono sono Goldoni, che per farsi capire dai due giornalisti cinesi si esprime in un buon inglese ma con un forte accento emiliano, Davide Kluzer, responsabile dell’ufficio stampa prodotto, e Matteo Bonciani, neocapo della comunicazione Asia-Pacifico, reduce da un tour de force da una parte all’altra del mondo, ma non per questo «scarico» di energia. Con loro il responsabile della logistica Gabriele Lalli, la fotografa Gabriela Noris, i cameramen Franco Gionco e Luca Gualdi, i meccanici Adriano Cappellato, German Gilli e Paolo Vandelli.
Del team fanno anche parte tre autisti «prestati» dall’Iveco alla spedizione, tutti con alle spalle gli avventurosi tour di Overland: «il generale» Giangregorio Carnevale, Giovanni Salamone e Bruno Penna. Inutile dire che l’esperienza dei tre «saggi» è risultata determinante nel momento in cui la carovana ha attraversato le zone più impervie e rischiose della «Panamerican». Le due 599 Gtb Fiorano sono accolte a New Orleans, nel French Quarter, da un improvvisato gruppo jazz che subito intona il meglio del repertorio Dixie. A fare gli onori di casa è un grande appassionato della Ferrari, Franco Valobra, 42 anni, gioielliere e antiquario con vetrine sulla Royal Street, la via del lusso parallela a Bourbon Street. Valobra, che guida regolarmente una 460 e 360 Challenge, ci parla della sua amicizia con una altro ferrarista doc, l’attore Nicolas Cage («Ora guida una Enzo e in passato ha posseduta una F40 e una F50: Nicolas adora le auto di Maranello»), e di come è nata la sua passione per il Cavallino («Ero bambino e con mio papà ho visto Gianni Agnelli al volante di una Testarossa argentata, è stato un colpo di fulmine»). Valobra è anche presidente del Ferrari club della Louisiana: 80 super ricchi della zona che proprio il giorno dopo l’arrivo della «Panamerican» si sono radunati a New Orleans per una Charity a favore del Dipartimento di polizia. «Abbiamo raccolto 5mila dollari per l’agente Palumbo - racconta il gioielliere, che da 24 anni vive negli States - rimasto gravemente ferito durante una sparatoria». Una cena a base di gumbo, la zuppa tipica del Sud della Louisiana contenente riso, brodo, pesce o carne, conclude la parentesi nella capitale del jazz. «Il quartiere francese è stato risparmiato da Katrina - spiega Valobra - i segni della devastazione li troverete uscendo dalla città. Ci vorranno almeno 5 anni prima che New Orleans torni quella di una volta. Non dimentichiamo che più di 300mila persone hanno lasciato la città perdendo tutto quello che avevano».

Dopo la sosta notturna a Gainsville il gran finale, per i partecipanti alla tappa, prima alle Everglades per l’immancabile foto della Fiorano rossa mentre mostra i muscoli a un enorme alligatore per nulla intimorito, e quindi a Miami. Il ruggito delle due 599 è la nota che rompe la monotonia dell’affollato happy hour sull’Ocean Drive.

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