Ferrero riscrive la storia degli anni ’70: «Macché piombo, è l’età d’oro dell’Italia»

E liquida le violenze così: «Alimentate da governi che non sapevano dialogare a sufficienza»

da Milano

Peccato che Paolo Ferrero, ministro e rifondatore doc, sia finito alle Politiche sociali. Perché se nel totonomine gli fosse toccata l’Istruzione, certo avrebbe potuto aggiungere la perla più preziosa alla sua già lunga collana di uscite e proposte ultrasinistre. Quella di riformare i libri di testo, al capitolo «Storia contemporanea», sostituendo la vieta e falsa espressione «anni di piombo» con un’altra che recita più o meno così: «gli anni d’oro del Dopoguerra italiano che solo per colpa di governi ciechi e sordi hanno registrato qualche episodio di violenza». Una forzatura? Forse per qualche retrivo borghese come il suo collega ds, e già segretario Fiom, Cesare Damiano che andato a Venezia per parlare di riforma del lavoro è stato assalito venerdì dai no global di Casarini. E sabato, durante il corteo contro la precarietà, si è visto insultare come «servo dei padroni». E tanto gli è bastato per ritenersi legittimato a «manifestare amarezza» e a sottolineare come «quel linguaggio ricordi il periodo buio degli anni ’70 e ’80».
Periodo buio? Apriti cielo. Ferrero non poteva fargliela passare liscia ed è sbottato: «Io penso che quelli siano stati gli anni più importanti del secondo Dopoguerra. Quelli che hanno cambiato di più e meglio la nostra società. Per me quando si parla degli anni Settanta si evoca un periodo fondamentale, dove sono successe tante cose: in primo luogo un enorme movimento di massa degli studenti e degli operai. Se viceversa si vuole ridurre lo stesso periodo al terrorismo o a qualche forma di violenza assolutamente deprecabile, penso che non debba essere così. Qualunque forma di violenza richiede da parte del governo la capacità di ascoltare e dialogare, come non è stato fatto a sufficienza nei secondi anni Settanta».
Quindi ha ribadito la sua ricetta per il presente: un corteo al giorno toglie il medico di torno.

Se poi si chiama Prodi, tanto peggio per lui perché «una manifestazione non è solo di protesta ma dà anche la capacità di cambiare il senso comune del Paese. A me andrebbe bene se la prossima settimana ci fosse una manifestazione sull'immigrazione, dopo forse se ne discuterebbe più seriamente».

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica