Fiat, all’Alfa Romeo servono 2 miliardi

nostro inviato a Parigi

Al padiglione 1 della Fiera parigina dedicata all’auto, Sergio Marchionne ribadisce che «l’Alfa Romeo non è in vendita» e, rispondendo alle avances di Ferdinand Piëch, numero uno del gruppo Volkswagen («siamo interessati, ne riparliamo tra un paio d’anni»), dice che a Wolfsburg «possono aspettare...». Nel padiglione 4, poco distante, l’ex designer dell’Alfa Romeo, Walter de’ Silva, e Giorgetto Giugiaro, rispettivamente responsabile dello stile del gruppo tedesco e capo dell’azienda torinese entrata da poco nell’orbita Volkswagen, si lasciano andare: «Se Piëch riesce a prendere l’Alfa Romeo faremo uno spettacolo, un gruppo come quello tedesco è in grado di fare esplodere il marchio italiano».
Entrambi hanno nel cuore il Biscione e non vedono l’ora - Marchionne permettendo - di realizzare il loro sogno: rimetterci le mani sopra. A Torino, però, la pensano diversamente e i segnali lanciati al Mondial di Parigi da Marchionne sono chiari: l’Alfa resta parte di Fiat Group Automobiles e i suoi nuovi modelli sbarcheranno negli Stati Uniti. Gli analisti, però, restano sospettosi. Basta sondarne alcuni per sentirsi rispondere che, alla fine, il Lingotto cederà alle lusinghe di Piëch, anzi «sarà costretto». Per quale motivo? «Il rilancio di Alfa Romeo è costoso - concordano alcuni esperti che incontriamo al Salone -: per portare la produzione a 500mila unità come prevedono i piani, occorrono almeno 2 miliardi. La Giulia e la futura offerta di gamma alta richiedono, a testa, investimenti per almeno 800 milioni». E poi c’è il nodo piattaforma. «Per il top di gamma - precisa un osservatore - la piattaforma della Chrysler 300C (da cui originano le imponenti berline e wagon della casa americana, ndr) non va bene. Per competere a quei livelli bisogna ricorrere all’alluminio, che significa partire da zero oppure chiedere aiuto alla Jaguar. A parte Ferrari che però fa storia a sé, la Fiat al suo interno non vanta questa tecnologia, punto di forza invece in casa Audi». Perplessità vengono espresse anche sulla gamma motori: «Sempre a quei livelli, cioè nell’alto di gamma - aggiunge un altro osservatore - occorrono propulsori che all’efficienza uniscono la potenza, come richiede il mercato. Insomma, ci vogliono tanti soldi e quelli a disposizione di Marchionne serviranno a sviluppare i segmenti che assicurano un ritorno maggiore al gruppo, cioè quelli più bassi, nonché la crescita della Chrysler. Il rilancio del marchio milanese è sicuramente ad alto rischio e con tanti punti interrogativi».
L’analista di una banca d’affari disegna il possibile assetto del gruppo Volkswagen con incorporata l’Alfa Romeo: «Una volta realizzata la Giulia - afferma - l’Alfa potrà contrapporre una vera concorrente alla Serie 3 di Bmw. Non vedo sovrapposizioni tra Audi e Alfa Romeo. La casa dei quattro anelli è più orientata a insidiare Mercedes, mentre il marchio italiano è il naturale concorrente di Bmw. Sono anche da considerare le ricadute positive di un cambio di maglia per l’Alfa Romeo: i tedeschi difficilmente sposterebbero la produzione in Germania; la rinascita in Italia di Lamborghini, da parte di Vw, è una case history da considerare; anche la Italdesign di Giugiaro mantiene il suo cuore in Piemonte.

Mi chiede a che cosa servirà a questo punto la Seat? Il gruppo Volkswagen è stato chiaro: se Skoda è un gradino sotto rispetto a Volkswagen, Seat sarà altrettanto rispetto a un ipotetico arrivo di Alfa Romeo alla corte di Wolfsburg». Non manca la battuta: «Piëch ha avuto dodici figli da quattro mogli, non c’è da stupirsi se vuole aggiungere un altro marchio alla già numerosa famiglia».

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