Alla fine si va al referendum, nonostante l’opposizione della Fiom. Martedì 22 giugno i 5.200 dipendenti Fiat di Pomigliano d’Arco avranno in mano una scheda molto pesante, dalla quale dipenderà il loro destino, quello delle rispettive famiglie, degli altri 10mila addetti tra indotto e fornitori e, in particolare, il futuro dell’econonia campana. Dall’esito della votazione, inoltre, dipenderà l’avvio concreto del progetto «Fabbrica Italia», che porterà il Lingotto al raddoppio della produzione automobilistica entro il 2014. Al via libera di Pomigliano, infatti, è legato l’intero progetto di rilancio del gruppo in Italia. Se saltasse questo tassello l’intero mosaico produttivo sarebbe da rivedere: insomma, Sergio Marchionne tirerebbe fuori dal suo cassetto il fatidico Piano B, non certamente positivo per il Paese. Anche ieri, comunque, la Fiom guidata da Maurizio Landini è stata irremovibile. E neppure l’inserimento di un punto che prevede una commissione paritetica incaricata di stabilire sanzioni sulla base di eventuali inadempienze, rispetto all’intesa, è servito a Landini per far mettere la firma sul documento già condiviso dalle altre sigle (Fim, Uilm, Fismic e Ugl) al sindacato legato alla Cgil. Tre gli scenari che potrebbero presentarsi al termine delle votazioni della prossima settimana: il successo dei «no» alla riorganizzazione del lavoro (la conseguenza sarebbe la chiusura dello stabilimento con tutti i problemi di ordine pubblico e sociale che ne deriverebbero); la prevalenza non plebiscitaria dei «sì», ipotesi più verosimile (in questo caso il rilancio di Pomigliano proseguirebbe, ma a certe condizioni); un risultato «bulgaro», con l’improbabile passo indietro della Fiom, che spianerebbe la strada ai piani di Marchionne. Nel caso la seconda delle tre ipotesi dovesse, come si pensa, prevalere (ovvero, il successo dei «sì» non al 100%) il gruppo di Torino si troverebbe a che fare con l’incubo costante del boicottaggio da parte della Fiom, e dei suoi esponenti all’interno dell’impianto. Da qui la decisione del Lingotto di volersi cautelare attraverso la consulenza legale delle Unioni industriali di Torino e di Napoli, con il beneplacito di Fim, Uilm e Fismic nazionali e campane. Le parti, ieri, hanno siglato un accordo nel quale «l’azienda ribadisce che, al fine della realizzazione del “Piano”, si debbano concretizzare le condizioni che rendono operativo e praticabile, mediante l’adesione dei soggetti interessati, quanto convenuto con la sottoscrizione della presente ipotesi d’accordo ». Più semplicemente, Fiat ha incaricato un team di avvocati affinché preparino un piano d’azione che contenga tutte le soluzioni possibili per ovviare, Codice alla mano, a tutte quelle azioni capaci di danneggiare la normale attività produttiva. Fiducioso è il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: «Sono convinto che ci siano oramai le condizioni, meglio con la firma formale di tutti, per realizzare l’investimento e dare un futuro all’auto e al Sud; sono ottimista perché c’è già il consenso della maggior parte delle organizzazioni sindacali. Nello stabilimento di Pomigliano c’è un sindacato coraggioso che si mette in gioco, si compromette e accetta la sfida della competizione, e c’è un sindacato (la Fiom, ndr ) paralizzato da un blocco ideologico».
Il sindacato rosso è consapevole che quello di Pomigliano è un banco di prova decisivo per la tenuta della stessa sigla metalmeccanica: dall’esito della vicenda si leggerà anche il futuro delle relazioni industriali del Paese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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