Fiat, giallo cinese su Termini Scajola: «Porte aperte a tutti»

È il destino: tutte le volte che il caso Termini Imerese torna alla ribalta, ecco spuntare l’ipotetico acquirente asiatico, pronto a scommettere sul rilancio della fabbrica siciliana, la stessa da cui la Fiat ha deciso di disimpegnarsi (dalla fine del 2011 non vi produrrà più automobili). È successo nel 2002 quando il Corriere della sera pubblicò la notizia che, a puntare sulla fabbrica, era il colosso Toyota. Non se ne fece nulla e l’allora governatore della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, ammise qualche giorno dopo che «non c’era alcun interesse per Termini» da parte giapponese. Personaggio chiave della vicenda, ancora oggi tutt’altro che chiara, il professor Edward Luttwak, all’epoca consulente per il gruppo di Nagoya e, come spiegato da Cuffaro, «nostro collaboratore».
A distanza di sette anni sta accadendo più o meno la stessa cosa: ieri La Repubblica ha scritto che i cinesi di Chery, ex soci della Fiat, avrebbero avviato contatti con il Lingotto allo scopo di rilevare l’insediamento produttivo alle porte di Palermo per crearvi una sorta di hub automobilistico europeo. E questo alla luce delle intenzioni del gruppo cinese di allargare il business nei Paesi occidentali nell’ambito di un piano che prevede la realizzazione di 15 impianti all’estero.
Chery, però, nega di voler sbarcare in Sicilia e, in una nota di smentita, afferma di non avere in corso colloqui con Torino. «Guardiamo con favore il mercato turco - aggiunge il portavoce della società - ma non abbiamo ancora deciso se costruirvi un impianto». Tra questi due casi, se ne inserisce un terzo del quale in pochi sono a conoscenza. Chiuso il breve capitolo Toyota, l’allora amministratore delegato di Mazda Italia, Carlo Simongini, si mise in contatto con il quartier generale della casa per cui lavorava. «Proposi loro - ricorda Simongini - l’investimento in Sicilia e, se la cosa fosse risultata d’interesse, di fare da intermediario. Era chiaro, infatti, che lo Stato e gli enti locali avrebbero messo in campo incentivi e agevolazioni varie per un’operazione del genere. Quale fu la risposta? “Ma sei pazzo!” In pratica per loro era un non affare». Tornando a Chery Automobiles, la società che avrebbe dovuto spalancare le porte di Pechino alle auto della Fiat, in questo momento non se la passa bene. Il mega-stabilimento che ha costruito in Cina funziona a scarto ridotto e, allo stato attuale, non sta ripagando gli ingenti investimenti fatti dal gruppo. Chery, comunque, un piede in Italia lo ha già messo. Per la precisione a Isernia, in casa della Dr di Massimo di Risio, a cui fornisce telai e una motorizzazione a benzina per i modelli del gruppo. «Su Termini Imerese - osserva una fonte - il nodo rimane sempre quello della logistica, problema che si porrebbe anche all’eventuale costruttore di automobili che si facesse avanti. La maggior parte dei componenti dev’essere trasportata da fuori, visto che la fabbrica cura solo l’assemblaggio».
Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, che il 22 dicembre si farà spiegare, insieme ai sindacati, da Sergio Marchionne i progetti industriali della Fiat legati all’auto per l’Italia, commentando le voci su Chery ha detto che «il governo è aperto a tutte le opportunità».

Ieri in 10mila hanno sfilato a Termini contro il disimpegno della Fiat. Da parte sua il presidente del Lingotto, Luca di Montezemolo, ha puntualizzato che non è prevista la cessione di Alfa Romeo e che il gruppo non cerca altri partner in Asia.

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