Economia

Fiat, sindacati spaccati sulla grande alleanza

I pezzi pregiati dell’industria automobilistica occidentale, il cui «sacrificio» permetterà alle capogruppo di fare cassa, sono nel mirino dei costruttori asiatici. Dopo Land Rover e Jaguar, cedute da Ford all’indiana Tata, ora è Volvo a prepararsi a un futuro in un nuovo continente. Ed è sempre Ford, proprietaria della casa svedese, acquistata nel 1999 per 6,4 miliardi di dollari, al centro delle trattative.
Interessati al marchio sono i cinesi di Changan, uno dei primi sei gruppi del Paese, già partner degli americani. La valutazione data al marchio sarebbe di circa 6 miliardi di dollari. Ma altre case cinesi, e tra queste Dongfeng, partner di Renault Nissan e in joint venture con Psa, sarebbe alla finestra pronta a cogliere il «saldo» più interessante (Saab, Hummer e Pontiac sono i brand a cui General Motors dovrà rinunciare). E in attesa c’è anche Mahindra, in India rivale diretta di Tata, il cui interesse per Jeep (Chrysler) è arcinoto. La grande crisi dell’auto Usa, dunque, oltre a sconvolgere lo scenario Oltreoceano potrebbe avere come conseguenza il trasferimento forzato di marchi blasonati in Oriente, con il conseguente rafforzamento della nascente industria automobilistica asiatica (Tata, secondo la stampa tedesca, vorrebbe i motori di Daimler per Jaguar e Land Rover). A Washington, intanto, da un momento all’altro il Congresso dovrebbe pronunciarsi sugli aiuti a Gm, Ford e Chrysler.
«Buoni progressi sono stati fatti - ha precisato ieri il portavoce della Casa Bianca, Dana Perino - stiamo ancora lavorando a una serie di questioni. Alcune di esse sono piccole e tecniche, mentre altre sono un poco più consistenti. Non ci saranno finanziamenti a lungo termine se non verrà provata la vitalità delle aziende». La Casa Bianca chiede, in pratica, più garanzie nel progetto di legge che prevede un prestito a breve termine da 15 miliardi di dollari per i costruttori di auto, che di miliardi invece ne avevano chiesti 34. Il piano sottoporrebbe le aziende che ricorrono agli aiuti statali a controlli stringenti. Ogni società dovrà presentare entro il 31 marzo un piano di ristrutturazione. I fondi - secondo il testo allo studio - verranno presi da un programma del 2007 destinato al risparmio energetico e saranno erogati, come prestiti al 5% per cinque anni, e al 9% per i rimanenti due. Il programma, dai contenuti particolarmente rigidi sia per le condizioni necessarie per accedere al finanziamento, sia per i bonus da distribuire ai dirigenti delle case automobilistiche, verrà sorvegliato da un amministratore scelto dalle autorità americane. Toccherà a lui, in particolare, autorizzare tutte le spese superiori ai 25 milioni di dollari. A Washington la preoccupazione principale è che i soldi stanziati non vadano a fondo perduto, cioè che i tre costruttori soccombano ugualmente nonostante l’iniezione di liquidità. C’è anche chi parla di un possibile ingresso del governo Usa nel capitale delle tre aziende: in concreto, lo Stato dovrebbe ricevere titoli pari ad almeno il 20% dei prestiti concessi alle ex Big Three. Al centro della discussione, inoltre, è l’opportunità che i vertici dei tre gruppi rimangano ancora al loro posto.
Sotto tiro è soprattutto Rick Wagoner, presidente di Gm, al punto che l’azienda ha ieri chiesto ai suoi dipendenti di fare pressione sul Senato in sua difesa. Wagoner ha pure trovato la solidarietà dei suoi colleghi, attuali e passati. In sua difesa è intervenuto lo storico ex ceo della Chrysler, Lee Iacocca, 84 anni, l’uomo che negli anni Ottanta aveva salvato dal fallimento il gruppo. Iacocca sostiene che gli attuali management debbano rimanere in carica: «Gli uomini che dirigono queste aziende - ha detto - sono gli unici a possedere l’esperienza, la conoscenza e la comprensione del vero funzionamento dell’industria dell’auto».

Ieri a Wall Street forti vendite su Gm e Ford, con la Fed contraria a varare aiuti per i tre gruppi senza l’ok del Congresso.

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