Figlia di un boss senza saperlo la ragazza travolta sulla slitta

Carmine Spadafora

da Napoli

Sabrina è morta quando mancavano soltanto pochi giorni al suo quattordicesimo compleanno. La ragazzina - una delle due giovanissime vittime della tragedia della slitta travolta da un treno in Finlandia - era di Napoli, quartiere Vomero, una città nella città. Ma Sabrina aveva anche un altro appuntamento con la vita, ben più importante della festa che l'attendeva il prossimo 3 gennaio: oggi, avrebbe dovuto incontrarsi per la prima volta nella sua vita con il padre.
Quattordici anni senza averlo mai visto in faccia, senza avere mai ascoltato la sua voce, quattordici anni senza una carezza e il bacio della buonanotte. Questa non è una storia da C'è posta per te, i riflettori in questo caso sono rigorosamente vietati, ma, è una delle tante tragedie della mala Napoli. Il papà della sfortunata Sabrina ha un nome e cognome importanti, tragicamente importanti per Napoli: Giuseppe Mallardo. Questa famiglia, a Giugliano, terra di camorra e di origine dei Mallardo, è nota col soprannome dei «Carlantonio», ovvero una delle cosche più sanguinarie nella storia dei clan della Campania.
L'appuntamento sognato, accarezzato, desiderato, tra Sabrina ed il suo papà, sarebbe dovuto avvenire stamattina nel carcere dell'Aquila, dove il boss risiede ormai da 9 anni e quattro mesi, come ha rivelato ieri il quotidiano Il Mattino.
Ma non è stato il carcere a separare questo padre «difficile» dalla sua bambina, ma una precisa volontà di Peppino Mallardo. Il boss aveva scelto, appena Sabrina venne al mondo e, dopo averla tanto desiderata con la moglie Gilda, una insegnante adesso rimasta sola, di tenere la piccola lontana dagli affari del clan, capeggiato dal fratello, Francesco, uno dei boss più temuti del Napoletano. Proprio così, Sabrina doveva crescere tra i ragazzi puliti e spensierati del suo quartiere, frequentare la scuola e studiare e non, come avviene per tanti suoi coetanei, sviluppare la propria esistenza nell'odio verso la polizia e la legalità.
«Sabrina è un'altra cosa», confidò un giorno Peppino Mallardo ai familiari. E così è stato. La ragazzina ha vissuto per quattordici anni, con i sani principi impostigli dalla madre e dai nonni, nella tranquilla casa del Vomero. Si dice a Napoli, quando un bambino ha dei genitori premurosi che «lo fanno vivere in una bomboniera». Ma nella mente della piccola Sabrina, c'è sempre stato quel punto interrogativo rappresentato dal padre mai conosciuto. Durante tutta la sua breve esistenza si è portata appresso quel desiderio, sepolto per sempre sotto la neve finlandese, di conoscere il papà. E quando, praticamente sempre, chiedeva notizie di lui, ogni volta era una scusa per non dirle chi fosse veramente Giuseppe Mallardo.
Aveva appena quattro anni e mezzo, quando, il 21 agosto 1996, nell'ambito di una operazione anticamorra, il boss fu arrestato dalla polizia. Una condanna all’ergastolo per aver ordinato l’omicidio di un esponente della ex Nuova Camorra di Raffaele Cutolo. Poi, un'altra accusa gravissima: il sequestro di Gian Luca Grimaldi, rampollo della famiglia di armatori napoletani.
Solo recentemente, quando le bugie erano divenute insostenibili, e le possibilità che il boss lasciasse il carcere fossero praticamente nulle, mamma Gilda aveva cominciato ad accennare la terribile realtà alla figlioletta. «Papà ha dei problemi con la giustizia ma si risolveranno. È tutto un equivoco ma lui è un uomo buono».
Sabrina si era preparata con cura all'appuntamento con il papà ma prima aveva voluto fare quel maledetto viaggio in Finlandia con la mamma. Appena tornata dalla vacanza, sarebbe andata con la madre a trovarlo nella saletta del parlatorio del carcere dell'Aquila. Ma all'appuntamento con il boss, con qualche giorno di anticipo, è arrivato un gruppetto di familiari. Una visita non prevista, che ha subito preoccupato Mallardo. «Perché siete venuti? Che cosa è successo?». Pochi secondi di attesa, prima di conoscere la verità. Forse il boss ha immaginato in quegli attimi di drammatica attesa ad un lutto, ma provocato da una cosca nemica. A Sabrina no, Peppino Mallardo non ha pensato, lei era fuori da tutto, la sua esistenza era praticamente sconosciuta al mondo del quale fa parte. Poi, le lacrime del boss, come un padre qualunque duramente colpito dal lutto, che ama non solo i propri figli ma anche quelli degli altri, ai quali non farebbe mai del male.


A Giuseppe Mallardo adesso è rimasto l'ultimo sogno della sua vita: seguire la bara della figlioletta il giorno del funerale, darle almeno una volta quelle carezze che non le ha mai dato in quattordici anni, trascorsi a nascondersi per sfuggire all'arresto o al fuoco nemico, o in carcere.
Carmine Spadafora

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