Cronaca locale

Filarmonica: un ventenne sul podio di Muti

L’italo-inglese Ticciati dirigerà domenica l’ultimo concerto della stagione: in programma musiche di Brahms ed Elgar. Nato a Londra da famiglia italiana, si sta rivelando un talento

Filarmonica: un ventenne sul podio di Muti

Elisa Airoldi

«Prima o poi la vita si deve aggredire. Preferibilmente con un sorriso. Certo, sono ancora sotto choc. Io, alla Scala, dove sono passati Kleiber e Abbado. Dove fino e ieri c'era Muti… ».
Robin Ticciati è un bellissimo ragazzo di 22 anni. Alto, atletico. Una testa di ricci castani. Uno sguardo diretto. Una risposta per tutto e sempre una riflessione intelligente, a volte accorata. In questa stagione della Filarmonica e della Scala che certo non ha lesinato i colpi di scena, l'ultimo della serie è lui. Domenica sale sul podio di Riccardo Muti per chiudere la stagione della Filarmonica. Ogni passo un sospiro, anche quando oltre a Muti si sono dovuti sostituire Sawallisch e Tate indisposti. Diciamo che nel complesso se la sono cavata. Mentre dal Piermarini transitavano fuori programma Arild Remmereit, Yan-Pascal Tortelier, Claus Peter Flor, Jukka-Pekka Saraste. Oleg Caetani. Adesso, negli stessi giorni che vedono Muti aprire gli incontri della Mialnesiana, l'inseguimento alle bacchette finalmente si ferma. Nel più singolare dei modi. Cioè con un ventenne che conduce il gioco del concerto più importante. Appunto l'ultimo. Il tutto Brahms della locandina originale conserva la partitura più significativa. Cioè il concerto per violino e violoncello op. 102 che, come sempre nell'era Muti, prevedeva, e prevede, nei ruoli solisti due prime parti dell'orchestra: il violinista Francesco Manara e il violoncello Massimo Polidori (che per l'occasione utilizzano due magnifici Stradivari). La Quarta di Brahms («non sono ancora pronto») è sostituita da Elgar. Enigma variations op. 36. Le stesse recentemente proposte da Vladimir Ashkenazy con la Philharmonia Orchestra. Ticciati, per stare tra la gente che conta, ha già dalla sua una Staatskapelle Dresden. Ma che differenza! «Quelli mi guardavano con diffidenza, i vostri mi incoraggiano con simpatia». Nel passato tanto Mozart, gli studi a Cambridge che gli permettono di stare sul podio come a casa propria, il battesimo della giovanile Orchestra Aurora patrocinata da Sir Colin Davis. Nel futuro Liverpool, Francoforte, Santa Cecilia… Robin arriva con due importanti numi tutelari, Sir Colin Davis, decano del sinfonismo inglese e direttore principale della London Symphony, e Sir Simon Rattle, neodirettore dei Berliner. Entrambi l'hanno notato mentre suonava in orchestra: percussioni e violino. Gli hanno dato fiducia. E le voci corrono, le cose si sanno. Insomma eccolo qui.
Il nostro è nato a Londra, ma come dice il cognome, è di famiglia italiana. Anzi nipote di un nonno andato a Londra per suonare il piano e figlio di un padre violoncellista dilettante. Studi musicali, d'accordo. Ma anche vita da bravo ragazzo. Vacanze con i genitori in Cornovaglia, con nuoto, surf, golf. Sere libere al bar con la fidanzata, il jazz e il pop. «Come mai Davis e Rattle, due padrini-riferimento tanto diversi?». «Uno è la classicità, l'altro l'apertura e il moderno». La parole tuttavia indugiano volentieri sul divano di Sir Colin, che non manca di rimproverargli l'impresa milanese all'indomani di un'esecuzione di Mahler. Inutile chiedere la meta della sua vita. Più che Scala e podio di Muti… Il desiderio è quello di poter conoscere le partiture tanto da renderle senza preoccupazioni tecniche. Il musicista preferito? Quello del momento. Il direttore? Sono tutti casi a sé. Il modello? Non c'è. Come se la cava con i professori tanto più anziani di lui? Con un'idea interpretativa condivisa con l'orchestra nel massimo rispetto. «Ma la London Symphony l'ha mai diretta?». «Mai. Il mio rapporto con Davis è diverso. Da lui imparo». Nel curriculum anche una borsa di studio Borletti Buitoni che serve per comprare partiture, prendere l'aereo e raggiungere Sir Rattle. Che pensare? Se Robin Ticciati è qui qualcuno avrà avuto i suoi buoni motivi. E poi è proprio un bravo ragazzo.

Un abbraccio? Ma sì, un abbraccio.

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