Il film che fece "vestire bene" Almodóvar

"Matador" sarà protagonista nella rassegna dei classici alla Mostra di Venezia

Il film che fece "vestire bene" Almodóvar

Tra le proposte della prossima edizione della Mostra del cinema di Venezia, la rassegna dei classici si consolida come uno dei pezzi forti della manifestazione curata da Alberto Barbera. Nel programma è inserita la presentazione di Matador (1986) di Pedro Almodóvar.

Il 20 novembre 1975, alle prime luci dell'alba, muore Francisco Franco y Bahamonde. Aveva preso il potere nel 1939, alla conclusione della "guerra civile", iniziata nel 1936. Lo lascia nelle mani del trentasettenne re Juan Carlos I di Borbone. In Spagna torma la democrazia. E prende avvio la cosiddetta "transizione". Una cultura all'apparenza asfittica, non troppo originale e fortemente controllata dall'apparato politico, rapidamente esplode con fragore e allegria. In poco meno di un decennio tutti guardano alla Spagna. Più precisamente a Madrid. Ancora più precisamente a un regista: Pedro Almodóvar. Mancego (nato nel 1949), figlio di un mulattiere e di una casalinga, riceve l'educazione scolastica nel collegio dei salesiani (finirà per odiarli in modo viscerale). Trasferitosi con la famiglia in Extremadura, nel 1968 si sposta nella capitale, dove trova un impiego nell'azienda telefonica. In breve tempo si trasforma nell'incontrastato protagonista, nell'autentico sovrano della "movida". Pedro è l'icona dei "modernos". Per gli abiti stravaganti; per le esibizioni canore alle quali spesso aggiunge montaggi visivi privi di sonoro (li commenta in diretta, talvolta indossando vestaglia e pantofole di piume rosa o una minigonna di pelle); per la narrazione delle spericolate avventure di Patty Diphusa ("superfemmina", suo alter ego, "ragazza con una tale voglia di vivere che non dorme mai"), affidate alle pagine della rivista più cool di tutte, La Luna de Madrid; per i film sperimentali realizzati in Super8 dai titoli provocatori: La caída de Sódoma, Sexo va, Sexo viene, Folle...folle...fólleme...Tim. Abilissimo nel frullare tendenze musicali, pittoriche, visive, teatrali, letterarie, giornalistiche, radiofoniche, Almodóvar diventa l'Andy Warhol dell'underground madrileno. I due si incontrano più volte. Ma il "papà della pop art", a Madrid per vendere quadri a clienti facoltosi, non lo riconosce mai. Tra il 1978 e il 1983 (storicamente gli "anni della movida") ovunque nella capitale ci sia qualcosa di innovativo o trasgressivo (spesso entrambi), lì c'è Almodóvar. È ai concerti degli Zombies, dei Kaka de Luxe, di Alaska y los Pegamoindes, Fabio McNamara e Carlos Berlanga. Si fa vedere in tutti i locali di tendenza: El Bo, lo Shock, l'O'clock, il Pacha, El Sol, El Teide, il Carolina Club, il Rock Ola. La fauna degli avventori è a dir poco variopinta: artisti veri o presunti; galleristi benestanti e pittori squattrinati; scrittori in cerca di fortuna e raccoglitori di pettegolezzi; architetti e fotografi; travestiti e gigolo; omosessuali di ambo i sessi e ragazze allegre. Circolano alcol e droga. Il sesso è la pietra angolare di ogni incontro e relazione. L'unica certezza è che la vita è breve. Quindi l'imperativo categorico è sperimentare. Le notti madrilene, vissute all'insegna della debordante vitalità narcisistica e dell'eccesso, di ogni eccesso (soprattutto sessuale), posizionano Almodóvar sul trampolino di lancio. La cinematografia lo catapulta nello spazio prima nazionale, poi internazionale. Il viaggio una cavalcata vertiginosa prende avvio con Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del gruppo (1980). Prosegue con Labirinto di passioni (1982), L'indiscreto fascino del peccato (1983), Che ho fatto io per meritare questo? (1984). Commedie crudeli. Melodrammi trasgressivi. Umorismo nero. Estetica del kitsch. Un caleidoscopio sfavillante di tonalità sgargianti e irriverenze inaspettate. Il guru filosofico del "pensiero debole" Gianni Vattimo chiosa: in quegli anni a Madrid va in scena il senso autentico della "condizione postmoderna". Tutto ciò, e altro ancora, si ritrova nei film di Almodóvar, istantanee reali all'inverosimile talvolta quadri d'autore della "movida", ultima avanguardia europea, raffigurazione cromaticamente fluorescente della "società pornografica", incontro del liberalismo col libertinismo, entrambi elevati alla massima potenza. Alla "tetralogia della movida" di Almodóvar segue un film di cesura: Matador (1986). La guida politica della Spagna dal 1982 è nelle salde mani del socialista Felipe González (fino al 1996). La "nuova Spagna" è famelica. Ha bisogno di recuperare, con voracità, il ritardo accumulato per il raggiungimento della modernità consumistica. Il programma televisivo più innovativo è La edad de oro (omaggio all'irriverente e omonimo film surrealista di Luis Buñuel e Salvador Dalí del 1930), ideato e condotto da Paloma Chamorro, vetrina delle nuove tendenze artistiche e culturali. Chiude i battenti nel 1985, dopo due anni esaltanti. La "movida" è finita. Matador ne celebra la dipartita. Realizzando il film, dichiara il regista: "Dopo la glorificazione della vestaglia, da cui mi riconosco dipendente", è giunta l'ora di "vestirsi tanto bene".

Dopo quattro film centrati solo sulle donne, Matador si apre all'universo maschile. Protagonista è un torero ritiratosi per la grave ferita causata da un'incornata. Ricchissimo, gestisce una scuola di tauromachia. Un suo allievo (il giovane Antonio Banderas) si autoaccusa di alcuni delitti commessi dal torero e da un'affascinante avvocatessa. I due concludono l'amplesso con la morte dei rispettivi partner. Il ragazzo, in difficoltà psicologica, è castrato dalla madre, vedova devota. Non è mai andato al cinema: ha passato la vita a studiare, fare ginnastica e subire gli insegnamenti religiosi dell'Opus Dei. Almodóvar in Matador non guarda più al punk e all'underground delle origini, alla glorificazione del brutto. Ora i modelli di riferimento sono il cinema classico/moderno di Douglas Sirk, il finale di Duello al sole (1946) di King Vidor, L'eclisse (1962) di Michelangelo Antonioni. È l'inizio di una mutazione che lo porterà dalla Mancha ad Hollywood, vincitore di una statuetta d'oro. Realizzerà opere celeberrime, riverite e rispettate ovunque. Diverrà l'"icona pop" della Spagna internazionalizzata del nuovo millennio. Si trasformerà in una sorta di Luchino Visconti della messa in scena: un esigente perfezionista. Non perderà del tutto l'attrazione per la fascinazione del male, l'avversione alla religione cattolica, la necessità di porre il sesso spesso estremo al centro del racconto. Non sempre i suoi film riusciranno. In uno dei peggiori, Gli amanti passeggeri (2013), si nasconde un gesto di pura, forse involontaria, onestà. Durante un volo vengono addormentati tutti i passeggeri della classe economica. Restano vigili solo i pochi della business class. Ormai l'odiato mondo piccolo-borghese, alla pari dell'adorato universo dell'estremismo comportamentale giovanile delle origini, ha smesso di attrarre Almodóvar.

Il giovane "cannibale madrileno" alla spasmodica ricerca di carne umana, si è trasformato nel raffinato Don Pedro della Mancha. I suoi film del tempo della "movida", a chi li vide per la prima volta, apparvero fantascienza. Oggi sono la più nitida testimonianza di un'epoca vitale quanto irripetibile e di una cinematografica povera ma geniale.

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