Alla buvette di Montecitorio il presidente del Senato Ignazio La Russa (foto), in vena di confidenze, si lascia andare sul tema legge elettorale. Tema delicato, le regole della partita che deciderà gli equilibri della prossima legislatura. Anche i tempi sono importanti per chi, in primis Giorgia Meloni, vuole a tutti i costi approvare la legge: il confronto tra i partiti, infatti, entrerà nel vivo all'indomani del referendum sulla giustizia che dovrebbe essere fissato per marzo, così per dar vita al nuovo sistema il Parlamento avrà poco più di una anno dato che è opinione comune che le elezioni politiche si svolgeranno nella primavera 2027. Quindi non molto. Osserva in proposito La Russa: «Sui tempi di approvazione della legge elettorale il Capo dello Stato non può intervenire è una prerogativa del Parlamento. Semmai può intervenire preventivamente sulla costituzionalità delle norme contenute nella legge». Il presidente del Senato affronta una questione che continua a fare capolino. Gianfranco Rotondi la settimana scorsa aveva riportato un'opinione confidata da Mattarella a una delegazione di ex- parlamentari 5 mesi fa nella quale esprimeva dei dubbi sull'opportunità di approvare la nuova legge a ridosso delle elezioni per dare modo ai partiti di organizzarsi. L'ufficio stampa del Quirinale l'aveva smentita ricordando «en passant» con poca eleganza che gli ex- parlamentari sono novantenni, come diredimenticando che il predecessore dell'attuale presidente rimase al Quirinale fino a quella veneranda età.
La questione comunque rimane sul tappeto e potrebbe essere ritirata fuori in futuro visto che uno dei principali esperti di istituzioni del Pd, Dario Parrini, ricorda un pronunciamento della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa (l'organo che fornisce pareri tecnici sulle riforme) contrario all'adozione di una nuova legge elettorale a ridosso del voto. «Una violazione del parere - ricorda il consigliere della Schlein - sarebbe aggravata da un'approvazione in solitaria della legge. Stortura su stortura». Questo per dire che il confronto sarà tutt'altro che semplice. Al di là dello schema che la Meloni ha in testa (proporzionale con premio di maggioranza al 40%) ci sono altri nodi di sciogliere. La Russa, ad esempio, è un grande estimatore delle preferenze. «All'esame di ogni legge elettorale - ha rammentato - presento sempre due emendamenti: uno per l'introduzione delle preferenze; un altro che prevede il capolista bloccato lasciando gli altri posti contendibili con le preferenze. Come pure sono convinto che bisognerebbe lasciare ai leader la possibilità di candidarsi in tutti i collegi. Sono regole che potrebbero aiutare a diminuire l'astensione».
C'è la questione dell'indicazione del premier che piace alla Meloni per costringere il «campo largo» alle primarie tra Schlein e Conte, ma sulla quale forzisti e leghisti nutrono grossi dubbi. E ancora la questione Calenda: dicono che la Meloni voglia mantenere la soglia del 3% al di fuori delle coalizioni per invogliarlo a correre da solo. Il verde Angelo Bonelli, invece, ha raccolto un'altra voce: «Forza Italia vorrebbe soglia del 4% per eliminare un concorrente». L'esame parlamentare a voto segreto rischia quindi di trasformarsi in un percorso di guerra. Un accordo generale, che per ora non c'è, risolverebbe il problema. Qualcuno ancora ci spera. «Magari il Pd - spiega Francesco Filini, uno dei consiglieri di Palazzo Chigi - dice di no in pubblico ma sotto sotto è d'accordo.
Sul referendum sulla giustizia lo stanno facendo in maniera quasi palese». Infine sullo sfondo c'è una coincidenza trasformata in una mezza maledizione che La Russa non si stanca di ripetere: «Alla fine la legge elettorale penalizza sempre chi l'ha presentata. È la Storia».