
Nel film scritto e diretto da Alex Garland e Ray Mendoza non si guardano immagini di guerra, si fa esperienza della guerra. Dalla seconda metà del lungometraggio - prodotto da A24, in sala dal 21 agosto - ci si ritrova con le budella aggrovigliate immersi in una realtà che azzanna lo stomaco e scava nelle viscere. Warfare - Tempo di guerra è tratto da una storia vera e - attraverso le narrazioni di un gruppo di soldati dei corpi speciali della marina americana - racconta una missione avvenuta in Iraq, a Ramadi. L'unità speciale occupa la casa di una famiglia irachena per portare a compimento una missione di sorveglianza con cecchini, ma viene attaccata dalle postazioni nemiche. È una delle opere più incredibili che vedrete in sala quest'anno per diverse ragioni: come prima cosa l'impresa di Garland (regista di Civil War) non ha mezze misure: la realtà è feroce e così viene riportata. Non ci sono dinamiche produttive che modificano i fatti, alleggeriscono, rassicurano, questo è ciò che è successo, punto.
Vediamo quello che hanno raccontato questi uomini, infatti gli sceneggiatori hanno lavorato sulle loro testimonianze e la memoria è diventata materia essenziale del film. La guerra non è intorno a noi, ci siamo dentro; la sala cinematografica diventa uno spazio di consapevolezza e quasi un luogo dove compiere un test psicofisico. Non c'è più distanza tra noi e quello che vediamo. Questo è cinema esperienziale, è vita e sfido chiunque a non provare almeno per un secondo il desiderio di chiudere gli occhi. Anzi, succede in maniera automatica, una volta che - dopo averci costretti alla paralisi, alla fissità di un'attesa estenuante - il regista britannico ci trascina nella violenza più brutale. La seconda cosa da evidenziare è la grande capacità di Garland di mettere in scena il silenzio, quello che precede la catastrofe.
Per i primi quaranta minuti circa, vediamo i soldati appostati nella casa della famiglia rinchiusa in una stanza della loro abitazione, occupata per spiare il nemico e prepararsi all'attacco. Di questi uomini (Navy Seal statunitensi, dei quali ha fatto parte anche lo stesso Mendoza nel ruolo di Lead Communicator) sentiamo il respiro, lo strofinio del tessuto delle loro tute mimetiche, l'acqua che scende giù per la gola di uno di loro, di un altro sentiamo il rumore della sua urina che cade dentro una bottiglia di plastica, ancora il suono di una biro che abbozza delle parole su un foglio, l'abbaiare di un cane proveniente da fuori, la mano di un soldato che passa delicata tra i capelli. Il modo in cui i suoni vengono centellinati, produce una tensione che diventa quasi insopportabile. L'attesa è lancinante soprattutto perché tutto quel silenzio (lo spettatore lo sa) è indizio di una catastrofe. Poi uno boato che gela. Una bomba. Da qui si può parlare di prima dello scoppio e dopo lo scoppio: il film è diviso in due parti. Dal silenzio pressoché assoluto, al fracasso che rimescola la mente e tutti gli organi. Onestamente, sarebbe meglio guardare questa missione ad alto rischio (avvenuta il 19 novembre 2006) con lo stomaco vuoto. A questo punto le grida di un soldato mutilato dominano su tutto, protagonista è il dolore di un uomo che si aggrappa disperato alla vita e alla morfina, ma il martirio non cessa, non c'è nulla che possa arrestarlo.
Il messaggio del regista, che ci invita a prendere contatto con la brutalità che domina incessante nel nostro mondo, non ha mezzi termini. Quell'uomo con il volto storpiato dalla sofferenza, disteso a terra con le gambe spappolate, un ammasso di carne maciullata, toglie il respiro. Tra grida e sconfinati silenzi di fronte alla disperazione, va in scena il dramma della guerra in Iraq per mezzo dell'intelletto di uno dei registi più coraggiosi del nostro tempo. Non c'è musica, non c'è nulla che possa distogliere l'attenzione da quella devastazione. Solo polvere, fiotti di sangue, sudore, spari, esplosioni, sciagura, nel tempo in cui questi militari - di cui durante i titoli di coda vediamo i volti veri affiancati a quelli degli attori - cercano di tornare a casa in ogni modo possibile.
E pensare che il film inizia con leggerezza, mostrando il gruppo di soldati esaltati mentre guardano un video stracolmo di donne sexy che fanno ginnastica sulle note di Call On Me di Eric Prydz (ecco, questa è l'unica traccia di musica), Alex Garland vola altissimo e da lassù vede meglio di tutti noi.