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Il film del weekend: "La La Land"

Una favola d'amore, agrodolce e senza tempo, sul mito del successo e sulle rinunce che comporta, la cui messa in scena è la quintessenza di cosa si intende per magia del cinema

Il film del weekend: "La La Land"

"La La Land" di Damien Chazelle, regista trentunenne con all'attivo già tre Oscar per il bellissimo "Whiplash", è un film inebriante, romantico e commovente che parla del costo reale dei sogni e di felicità andate perdute inseguendone una reputata più grande.

Girato con maestria, poesia e genio, "La La Land" incanta con una nostalgia sospesa fuori dal tempo e si presenta come un musical vivace e colorato ma intriso di struggimento.
Siamo a Los Angeles. Mia (Emma Stone) è un'aspirante attrice che passa da un provino all'altro e intanto si mantiene lavorando al bar degli studi Warner. Sebastian (Ryan Gosling), invece, è un musicista jazz che coltiva il desiderio di aprire un locale suo e sbarca il lunario suonando in qualche pianobar. I due si incontrano più volte, per caso o per destino, ma, all'inizio, tempistica e coinvolgimento non sembrano andare d'accordo. Solo in seguito, cominciando a conoscersi, i giovani diventano complici e i più grandi sostenitori l'uno dei sogni dell'altra. Il loro amore tutto innocenza e spensieratezza, però, non è fatto per il mondo in cui aspirano ad affermarsi. Il cammino verso il successo, lastricato di rinunce e disillusioni, li porterà a scendere a patti con la propria idea di felicità.

È intuibile quanto sia facile provare empatia per una storia semplice ma universale come quella al centro del film. "La La land" è una sorta di luna park per cuori addormentati, in cui un giro di giostra non si nega a nessuno, non importa quanto lo spettatore sia cinico o detesti i musical: un qualche effetto vivificante sul muscolo cardiaco una pellicola del genere lo produce. Anche se, va detto, essendo il cinema in sostanza un trucco, questo riuscito numero di alta magia scenica potrebbe non trovare assonanza in soggetti restii ad ascoltare la propria parte infantile.

"La La Land" è un trionfo di piani sequenza memorabili (come l'incipit coreografato nel traffico sull'autostrada losangelina), soluzioni visive vivaci e creative, citazioni a non finire della stagione aurea dei musical, (quella dei classici MGM prodotti da Arthur Freed e girati da Vincente Minnelli). Ma a Chazelle non interessa imitare la classe e la grandiosità di cult del passato, quanto metterne in scena una rivisitazione in chiave moderna. Ad esempio, allaccia il pubblico proprio in virtù dell'amabile goffaggine mostrata dai due interpreti principali nel canto e nel ballo, una mancata destrezza che fa pendant con quella che la coppia protagonista ha nelle faccende di cuore e di fronte agli aspetti più aspri della vita.

Il jazz, gli abiti anni 50, le atmosfere da vecchia Hollywood donano un fascino retrò che, assieme a sfumature surreali dall'evidente funzione emotiva, ammanta "La La land" di una lucentezza unica. Ciò non toglie che i sogni a occhi aperti di Seb e Mia appoggino un piede nella contemporaneità e siano accompagnati talvolta da un retrogusto di profetico e malinconico disinganno.

Lo sliding doors finale si tatua dentro e gonfia gli occhi, mentre chiude il cerchio sulle stagioni appena narrate. In un sorriso si riunisce tutto: l'impossibilità di certi rapporti incantati di sopravvivere al reale, i compromessi di coppia momentanei e inutili, la spinta ineguagliabile che solo amore e sogni sanno darsi a vicenda. Ma, soprattutto, la consapevolezza che raggiungere il desiderio cui abbiamo immolato tutto il resto, quasi mai appaga.

La salvezza, sembra dire Chazelle, è in uno spazio segreto, quello del "what if", in cui ciò che abbiamo perso per strada continua a esistere, a essere sognato e a regalare alla vita reale la magia che altrimenti troveremmo solo nei grandi film.

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