Un libro sulla scuola, per com'è stata di recente, fa venir voglia di non leggerlo, ma «La Scuola negata» (De Ferrari) di Nicolò Scialfa è avvincente e didattico come un gran romanzo. Da consigliare per Natale per farci orientare tra due poli: «La radiografia di un disastro e le ragioni di una speranza» che è il sottotitolo. Ci rimangono in mente le parole finali, del filosofo Ernst Bloch, contro «i corrieri del nulla», cui l'uomo deve reagire con fiducia per far succedere alla sofferenza del Venerdì Santo la Pasqua di Resurrezione.
Il libro ha due piani. Uno filosofico, la filosofia «inutile ma di divina inutilità, in un periodo in cui vengono incoronati i saltimbanchi del pensiero e del linguaggio». Uno pratico, con la sapienza di chi nella scuola ha lavorato da insegnante e da preside. Una sapienza che suggerisce come il riorganizzare l'Università che nel 1970 aveva 3mila ordinari, oggi 63mila per la moltiplicazione dei Corsi di laurea del nuovo sistema del 3+2. Per ogni tema - dalla ricerca, al reclutamento, all'amministrazione - l'autore indica lo stato attuale e la terapia.
Definisce la nostra scuola secondaria «una scuola di massa da schifo» ed in proposito ci illumina una sua conversazione con un docente. «Vede Preside, Lei crede nel merito, nella scuola meritocratica, ma da comunista io credo nelle opportunità per tutti». Scialfa: «Senza merito non si va da nessuna parte: Karl Marx, Vladimir Lenin, Michail Bakunin e tutti i capi del pensiero marxista socialista o anarchico, hanno studiato tanto e bene». Intanto pensa: «Forse io, figlio di immigrati dal Sud, di una famiglia di minatori della siciliana Enna, sono oggi un borghese reazionario».
Pistarino gli offrì di laurearsi con lui. Disse no per non seguire un «barone universitario», accettando il consiglio dei «compagni» d'allora, i duri e puri che poi mendicarono un posto a destra e sinistra diventando ordinari. Per mantenersi agli studi incominciò lavorando in un mercato ortofrutticolo, si laureò, vinse cinque concorsi e passando da un posto in banca si dedicò all'insegnamento. Lo urtano i 550mila docenti immessi in ruolo - senza concorso - (1974/82) e che il ministro Fioroni ne abbia sistemati 130mila.
Scintillante il modo in cui esprime i concetti: «Non c'è famiglia che accetti rimproveri o valutazioni critiche da parte dei professori», «Nel contemporaneo vige il furto dei significati con il divorzio di cose e parole, di cui una è Progetto», «Ben venga il grembiulino contro la sfilata di moda dei bambini vittime di madri stiliste mancate», ecc.
Da manuale due pagine centrali, biografie in poche righe di coloro che hanno costruito il moderno insegnare: da Comemius, uomo del Cinquecento, a Ernst Bloch passando attraverso Spinoza, Weber, Croce, Gentile e l'altro Bloch, lo storico Marc, cui è dedicata l'Università di Strasburgo. Un richiamo anche a don Milani che ricorda ampiamente nel libro, eleggendo, quasi suo successore nel campo educativo, don Gallo, ben noto ai genovesi.
Si perdoni un ricordo personale: quando Massimo Zamorani era caporedattore di queste pagine, gli chiesi di recarmi per un articolo alla Comunità San Bendetto al Porto: non me lo permise, con un «Quello la fa su come vuole. Non mi basta la condivisione, mi starebbe bene se ricuperasse i drogati come fa Muccioli».
Qui bisogna capirsi: Nicolò Scialfa, laureato in storia e filosofia, preside al Vittorio Emanuele II-Ruffini che offre corsi serali anche ai detenuti in carcere, vicepresidente del Consiglio Comunale di Genova, ha abbracciato la politica ed è responsabile nazionale per la Scuola e l'Università dell'IdV. Non a caso la prefazione è di Antonio Di Pietro (cui qualche giornalista ha consigliato il ritorno a scuola per come parla), ma «il volpino» questa volta si tiene in disparte e conclude prendendo in prestito da Scialfa ciò che serve alla scuola d'oggi, «grande cultura, passione, amore verso i giovani», pregando «chi non si riconosce in ciò di accomodarsi altrove, politici inclusi».
Considerata l'appartenenza politica, non mancano nel libro, come un sale che insaporisce, convinzioni che spaziano dal «Fascismo male assoluto», allo slogan sui morti dell'ultima guerra «migliori se combatterono per la libertà», al ministro Brunetta «lupo dalla mala coscienza», a Berlusconi che non andò al funerale di don Baget Bozzo, mentre don Gallo sì. (Il Premier non venne per evitare tensioni e scintille che Genova è sempre pronta a far divampare).
Ciò che affascina del libro, è il comune sentire (al di là delle ideologie) di Scialfa e delle persone responsabili sul tema scuola, è la fede nella scuola anche come fucina di convivenza in un'Europa con alle spalle lunga intolleranza.
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