Ci sono stati sviluppi, involontariamente interessanti, per quella che avevo intravisto come la possibile «rivolta di San Pantaleo». In breve, per chi non ricordasse la vicenda: a Roma, il parroco di San Pantaleo si era ribellato perché la sua chiesa, sotto restauro, era stata sommersa da uninsegna pubblicitaria, di quelle che solitamente coprono i ponteggi nelle nostre principali città darte. La rivolta allora immaginata non cè stata; la sconvenienza è stata vista più nel contenuto dellinsegna (il ridicolo Codice da Vinci, non meritevole di tanta considerazione da parte della Chiesa) che nella sua eccessiva invadenza. Perciò è bastato capovolgere linsegna e il problema è stato formalmente risolto, con litalianissima arte del compromesso. Perché in realtà la scritta pubblicitaria, sebbene invertita, è rimasta ancora leggibile in trasparenza, continuando a svolgere la sua funzione. Ma in questo modo, probabilmente, lagenzia pubblicitaria si è salvaguardata almeno in parte e la Curia romana ha salvato le apparenze, non potendosi tollerare che una chiesa reclamizzasse un prodotto ritenuto blasfemo.
Tutti contenti, ma il problema - delleccessiva invadenza della pubblicità sui ponteggi dei restauri, non certo del Codice da Vinci - rimane. E a questo problema, lo sfondo da Pane, amore e fantasia nella vicenda di San Pantaleo ha offerto uninconsapevole, ma plausibile risposta.
Con spirito pragmatico, diamo per scontato che la pubblicità sui ponteggi dei restauri sia un male necessario. Di risorse finanziarie disponibili, pubbliche e private, non ce ne sono molte, e non cè dubbio che senza la pubblicità si farebbero molti meno restauri. La pubblicità è necessaria, quindi, ma è anche un male. O meglio, male possibile quando non viene controllata, dato che i suoi fini non sono quelli di preservare il decoro dei luoghi nei quali appare, compito che spetta alle istituzioni pubbliche (lo Stato e il Comune in primo luogo). Per chi vende pubblicità, niente sarebbe più allettante di coprire di réclame tutto il Colosseo. È chiaro, allora, che la questione non può essere regolata unilateralmente né dai tutori del decoro, né dalle agenzie pubblicitarie. In fondo non sarebbe difficile: bisognerebbe, per esempio, impedire che i restauri interessassero solo certi luoghi, in maniera anche sospetta (possibile ci sia bisogno di tanti interventi?), cioè solo quelli fatti dalle agenzie. Occorre che, come per Il codice da Vinci capovolto, lincidenza visiva delle insegne sia attenuata e non solo nelle dimensioni, per esempio con accordi «tono su tono» fra marchi da reclamizzare e il colore delledificio restaurato che farebbe da sfondo.
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