La finanza punta sull’effetto serra

Quell'anno sindaco e vigile erano andati in ferie contemporaneamente. E il bravuomo padano che stava costruendo con regolare licenza edilizia la sua casa di tre piani pensò bene di approfittare delle vacanze degli amministratori per raddoppiare la volumetria autorizzata. Cosa fatta capo ha, dice una legge atavica rispettata più dei Comandamenti. Ne risultò un immondo cubo che violentava la fisionomia del paese prendendo per lo stomaco il visitatore già un paio di chilometri prima dell'abitato.
Rientrato dalle vacanze il sindaco fece subito fuoco e fiamme, emanando ordinanze a grappolo, denunce penali e diffide. Il bravuomo fece orecchie da mercante. Si prese con filosofia le condanne in primo grado, poi in appello, poi in Cassazione. Della pila di documenti in nome del popolo italiano e delle ordinanze del sindaco fece una ordinata raccolta da sfogliare davanti al caminetto nelle sere d'inverno. Dal momento che non trovava imprese disposte a farsi coinvolgere nel suo abuso continuato, schiacciava un sonnellino al pomeriggio così da avere mezza nottata a disposizione per alzare con le sue mani, senza essere colto sul fatto, i muri di tamponamento. Dal municipio partivano nuove denunce penali e altre ordinanze di demolizione, cui seguivano ulteriori ineluttabili condanne. Tutta carta da aggiungere alla raccolta che ormai prendeva interi scaffali.
Il braccio di ferro approdò nel giro di qualche anno all'atto finale: la demolizione d'ufficio da parte del Comune con rivalsa sul proprietario. Facile a dirsi. Anzitutto la demolizione doveva essere parziale, dato che metà della volumetria era regolare. Impossibile ricorrere alla dinamite anche per la vicinanza di numerose abitazioni. Bisognava dunque smontare e tagliare, demolire e portare in discarica pezzo a pezzo l'equivalente di un mezzo condominio. Una spesa abnorme non recuperabile dato che il resto della costruzione, quasi tutta ferma al rustico, non valeva neanche lontanamente la cifra.
La guerra dalle opposte trincee finì così in stallo: da una parte il Comune (al verde come tanti) impossibilitato a far trionfare la legge, dall'altra il proprietario ormai convinto di averla spuntata e quindi nemmeno interessato a sottoscrivere uno dei tre condoni succedutisi.
Gli amministratori provarono a bussare a quattrini per finanziare l’abbattimento: per la Regione era come se chiedessero di costruire il palazzo del ghiaccio, una mattana. Il fatto è che non esistevano, e non pare esistano neppure adesso, capitoli di bilancio regionale destinati a finanziare demolizioni d'ufficio. Si spiega anche così il fatto che in questa Italia di solito un illecito edilizio è per sempre, con o senza condono.
Si spiega meno invece il fatto che addirittura interi centri abitati siano stati realizzati senza che né amministratori né vigili urbani notassero alcunché di insolito. Qui bisognerebbe forse che i tribunali fossero più solleciti nel qualificare come autentica connivenza le omissioni particolarmente gravi commesse dagli amministratori locali, coinvolgendoli nelle sanzioni penali e soprattutto patrimoniali. Le seconde sono certamente più temute delle prime.
Ma sempre gli amministratori locali dovrebbero essere costretti in qualche modo a contrastare brutture e scempi ambientali grandi e piccoli. È bruttura anche il caso ricorrente di aiuole o interi parchi realizzati per abbellire i centri abitati e poi abbandonati al degrado per mancato stanziamento di fondi per le manutenzioni. Addirittura si commissionano piantumazioni di esemplari ben sviluppati e dunque costosi, ai quali poi per sciatteria non si provvede con le cure del caso e soprattutto con le irrigazioni quasi quotidiane che consentono alle giovani alberature di sopportare le nostre incandescenti estati. Così come è grave che capitolati di appalto per il verde pubblico siano redatti da personale incompetente, in balia magari di vivaisti interessati più a piazzare i loro fondi di magazzino che essenze congeniali all'habitat da ingentilire.


Non siamo dunque vittime della solita carenza normativa: siamo soprattutto orfani di una cultura del bello, dell'armonico, del verde inteso come ricchezza di vegetazione e sipario per tante ferite procurate all'ambiente e al paesaggio da architetti e geometri in diuturna adorazione di mattoni e calcestruzzo. Ma finalmente qualcuno prende il toro per le corna e prova a cambiare un po’ le cose.
(2. Continua)

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