La notizia è che un’associazione culturale non profit decide di pubblicare, a scopo benefico, un volume di interviste ai personaggi eminenti di Bologna. Poi chiede un testo introduttivo ad alcune figure istituzionali, dal sindaco della città al Governatore della Regione, fino al presidente del Consiglio. E quando arrivano i vari interventi, di fronte a quello di Silvio Berlusconi un nugolo di intellettuali intervistati per il libro protestano sdegnati, ponendo il veto alla prefazione del premier: «Se scrive lui, noi ce ne andiamo». E, di fronte alla prova di forza e d’orgoglio dei moscerini, l’associazione decide di fare un passo indietro scegliendo di non pubblicare la pagina incriminata: «Ci è parso giusto rispettare questa sorta di sollevazione. Così abbiamo tolto il testo». Che nessuno peraltro aveva letto. “Visto, si censuri”. È l’ultimo, ignominioso esempio, di quell’idiotamento nazionale della cultura di cui scriveva qualche giorno fa sul «Domenicale» del Sole 24 Ore Davide Rondoni e al quale Pierluigi Battista ha dedicato corposi capitoli del suo recente I conformisti. Di cui urge una nuova edizione aggiornata.
Se gli intellettuali non fossero già in via di estinzione, come invece per fortuna sono, bisognerebbe invocare una catastrofe culturale per sterminarli tutti, una volta per tutte. Un cataclisma gnoseologico che rada al suolo loro e le loro torri d’avorio, le accademie, le terrazze e i fortilizi del pensiero. Soprattutto che spazzi via gli intellettuali organici sì, ma al perbenismo infantile radical Cip&Ciop, gli intellettuali venuti su a Topolino e Mork e Mindy, i professionisti nel conformarsi all’anticonformismo di maniera, quelli che amano - secondo una scala rigorosamente ascendente - i titoli, il denaro, la visibilità e il potere, odiando di riflesso chi ne ha più di loro. Mutuando in campo culturale il pregiudizio politico che un’ideologia di sinistra gli getta da vent’anni nella cuccia come una polpetta soporifera - «Chi non vota per noi o è un cretino o è un delinquente» - i nuovi maître à penser con l’etica a sinistra e l’egoismo a destra reagiscono con riflesso pavloviano, latrando come cani bavosi, davanti a un elenco di parole-chiave, sempre le stesse. Delle quali la peggiore e inaccettabile è «Berlusconi».
Che li tenessero per un anno a pane e acqua segregati nei sotterranei di Arcore, a leggere le pagine di Hannah Arendt in cui si spiega che cos’è la tolleranza. Ossia: la capacità di pensare, anche per un solo istante, che l’interlocutore possa aver ragione. O perlomeno non torto a prescindere.
Gli ultimi latrati si sono alzati da Bologna, dove la cronaca ha registrato il più recente, ma temiamo non ultimo, caso psichiatrico di presunzione di superiorità moral-intellettuale della sinistra. Lo ha denunciato Antonella Zangaro, giornalista di un’emittente bolognese che insieme ad altre colleghe era stata invitata dall’associazione culturale «La Compagnia delle donne» (apolitica e apartitica) a scrivere un’intervista-ritratto di un personaggio famoso - 50 in tutto, tra attori, scrittori, imprenditori, sportivi eccetera - legati a vario titolo all’Emilia Romagna per un libro dal titolo Uomini che amano le donne. Scopo dell’iniziativa, raccogliere fondi per restaurare la basilica bolognese di Santo Stefano, uno dei gioielli architettonici della città. Fino a qui, tutto bello e buono. Poi, per colpa della presidentessa dell’associazione, Chiara Caliceti, entra in scena il brutto e cattivo. La signora infatti decide di coinvolgere nel progetto, come di prassi in questi casi, una serie di autorità istituzionali, per dare massima autorevolezza e visibilità all’iniziativa. Chiede così una prefazione al sindaco. Testo che, essendo Bologna commissariata, viene gentilmente firmato da Annamaria Cancellieri, commissario straordinario del Comune dopo le dimissioni di Flavio Delbono. Poi ne chiede una al presidente del Consiglio provinciale (che accetta) e una al Governatore della Regione, Vasco Errani (che declina per altri impegni già assunti). E poi, tramite la segreteria del presidente del Consiglio, anche a Silvio Berlusconi. Il quale invia un breve scritto in cui si dice felice dell’iniziativa, sposa la causa del restauro, parla dell’importanza dell’impegno sul territorio eccetera eccetera. Nulla di politico o di ideologico.
A questo punto, i cagnolini iniziano a ringhiare. Nessuno ha letto il testo, nessuno si preoccupa di sapere perché si è chiesto un intervento del premier, ma basta il nome «Berlusconi» per fargli rizzare il pelo. Alcune giornaliste autrici delle interviste telefonano all’associazione protestando, altre pongono il veto ai loro testi arrivando a minacciare azioni legali contro «La Compagnia delle donne» nel caso di pubblicazione del volume. E addirittura - ma qui dal grottesco si scivola nella psicopatia - alcuni intervistati “illustri” alzano la coda ululando: «Se c’è Berlusconi, me ne vado io», costringendo Chiara Caliceti a inviare una mail alla presidenza del Consiglio per spiegare che il testo di Silvio Berlusconi non sarebbe stato pubblicato. In termine tecnico si chiama censura preventiva. In gergo, volgare ricatto.
Accecati dall’odio ideologico e ottenebrati dal demone dell’antiberlusconismo radicale, gli intellettuali giacobini hanno anche spiegato le loro ragioni (!). Lo storico dell’arte Eugenio Riccomini, in un delirio paranoico fantafascista dichiara: «Non mi va di andare sottobraccio a una persona di cui non mi fido. È il presidente del Consiglio, e allora? Anche Mussolini e Hitler sono stati eletti dal popolo. Se paragono Berlusconi a Hitler? Più o meno...». Detto da un uomo di cultura. Ecco un caso in cui Goebbels aveva perfettamente ragione a estrarre la sua Luger dal calcio di madreperla. L’etologo Giorgio Celli, curioso esemplare intellettuale di pulex irritans, vuole persino dimostrare scientificamente che «Berlusconi sta rovinando l’Italia. Non me ne frega niente della sua carica». Ecco un caso in cui invece aveva ragione il celebre entomologo che diceva: «Le pulci si schiacciano, e basta».
Facciamo notare, sommessamente, che Giorgio Celli pubblica per Mondadori (L’alfabeto dell’ecologia nel 1999, a esempio, o Storie d’inverno nel 2005, a esempio). Mentre Eugenio Riccomini, pure: i suoi cataloghi escono per Mondadori Electa.
C’entra che un nuovo oscurantismo, figlio dell’idiozia ideologica e del conformismo dis-intellettuale, si aggira per l’Italia. Per colpa vostra, moscerini.
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