Caro Dr.Granzotto, ho apprezzato con molto gusto la spassosissima lettera del presunto «Massimo Massimi». Suvvia confessi che altri non è che il Mario Marenco di Alto Gradimento dei bei tempi passati. Ora però attendo con impazienza, già pregustandone lo spasso, analoghe lettere dal «Colonnello Buttiglione» o dal «Professore Aristogitone» arrabbiato con «guei delinguenti e ciucci« (studenti) oltre che dai vari personaggi di Giorgio Bracardi.
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Caro Massimo Massimi, ti prego, rifletti. Fai una opera di bene, sèguita a scrivere a Granzotto, nella speranza che la sua magnanimità si realizzi nella continua e instancabile pubblicazione dei tuoi pensieri. Noi che non abbiamo la fortuna di dilettarci con i tuoi autori preferiti, abbiamo bisogno di ricaricarci il morale dopo la depressione generata dalla mancanza culturale sessantottina.
Gilberto Giulivi
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Gent. Granzotto, ci dica la verità: il signor Massimo Massimi non esiste, non può esistere, sarebbe troppo bello! Scommetto che è una sua invenzione fatta apposta per colmare il vuoto provocato dalla calura estiva. Se così, non fosse, però, la prego di non farselo scappare. A proposito, qual è il singolare di republicones? Quando litigo con uno di loro, non mi viene di chiamarlo «republicone»: non sarebbe meglio ricorrere al vecchio «repubblichino», assai più efficace, secondo me, a mandargli il sangue alla testa?
Giuseppe Magnarapa
Roma
Eh, cera da immaginarselo: ci ha messo poco, Massimo Massimi, per diventare un beniamino dei lettori del Giornale. D'altronde non poteva essere altrimenti perché luomo, con tutti i suoi tic, i luoghi comuni, gli stereotipi verbali, le fisse, le mattane e le parole dordine appartenenti al vocabolario progressista, non solo è uno spasso, ma un perfetto esemplare di quella sinistra una volta detta trinariciuta e oggi «sinceramente democratica». Dirò subito che Massimi non è una invenzione e nemmeno uno pseudonimo. È un compagno in carne ossa e diciamo pure cervello. Quel che non so è se manterrà la promessa («adesso basta, addio per sempre») o ci regalerà unaltra delle sue strabilianti mail. È probabile che se ne sia andato al mare, beato lui, lasciando a casa la democratica ascia di guerra che magari tornerà a brandire alla rinfrescata. Chissà. Comunque noi qui stiamo, pronti al dialogo&confronto. E veniamo a «repubblicones» e al suo singolare. Devo premettere che il termine «repubblicones» fu coniato da Christian Rocca, allora brillante poulin di Giuliano Ferrara al Foglio, oggi autorevole commentatore dellaltrettanto autorevole Sole XXIV Ore. Dato a Cesare quel che è di Cesare, veniamo a noi: la sua domanda, caro Magnarapa, mha dato non pochi grattacapi, anche perché dellalternativa «repubblichini» non se ne parla nemmeno, proprio non va. Finito di arrovellarmi, dal basso della mia autorità così ho sentenziato e sentenzio: il neologismo «repubblicones» appartiene allo striminzito novero delle parole che chissà come chissà perché si preferisce non singolarizzare.
Fine del dibattito lessicale: «Republicones» vuole la «S» anche al singolare
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