«Finger food frozen» Ghiaccio sì, ma con gusto

Ci ha messo un bel po’ di tempo per affermarsi l’aperitivo a Roma. Troppo pretenzioso per la capitale, diceva qualcuno. Semplicemente troppo milanese, ammetteva qualcun altro con uno spiccato senso del campanilismo. Ma il rito pre-cena, nonostante l’importazione meneghina, è riuscito a ritagliarsi la sua gigantesca fetta di aficionados locali, giovani e meno giovani, studenti e professionisti, perdigiorno e iper-stressati con un occhio perenne al BlackBerry. Che hanno preso a darsi quotidiano appuntamento in isole felici travestite da bar e locali, con annesso trionfo di ombrellini, cocktail e sfizi di ogni tipo.
Eppure c’è già chi guarda oltre le sedimentazioni del costume e sostiene che l’aperitivo comunemente inteso sia triste o, come minimo, démodé. E si prepara a lanciare nella capitale un (degno?) sostituto: il Finger food frozen, l’FFF per utilizzare la definizione sbrigativa e immediata che è entrata a gran velocità nello slang giovanile. Si tratta di cibo, cominciamo da questa certezza non trascurabile. In particolare di palline gelate dai gusti più vari, piccole sculture commestibili che, giusto per fare qualche esempio, fondono la ricotta di bufala con la pappa al pomodoro e il pane carasau. Ghiaccio tondeggiante con sollievo incorporato vista l’afa, che spazia da chicche di sorbetto di ananas al curry amalgamate con cous cous al papavero fino a cubetti minimalisti di pesca gialla, basilico, manzo e zenzero.
Di fronte a uno stravolgimento così netto e radicale del contenuto, di fronte a questo nuovo concetto di aperitivo da esportazione, anche il contenitore ha dovuto adeguarsi. Così è nato Vice, parola inglese che significa vizio che si può leggere anche come V-ice, dove ice sta, appunto, per ghiaccio. «Vice» è un locale che vuole senza dubbio fare tendenza e che sarà inaugurato stasera in via Gregorio VII, al civico 385. Un giocattolo di stile e buon gusto disegnato dall’architetto catanese Michele Marchese, che all’ombra dei sette colli ha firmato il Tupì, il Glen e il Fluid, un “aperibar” che ha trovato emuli ed estimatori pure all’estero.
Per il «Vice» l’architetto ha elaborato un concept sperimentale fino all’estremo: «L’ho immaginato – racconta - come uno spazio etereo dove la percezione del visitatore è quella di galleggiare in assenza di gravità, dolcemente avvolto da un involucro di bianco assoluto, quasi abbagliante. Circondato da pareti di ghiaccio sintetico, che attraverso la sua natura irregolare e con un appropriato gioco di luci, assume un aspetto quasi riflettente amplificando lo spazio circostante».
Il “gioco” si sposta sulle pareti, dove gli oggetti proiettati e immobili prendono improvvisamente vita, come mossi da invisibili fili. Che il visitatore manovra a piacimento perché l’immagine del pubblico viene catturata e trasformata in sagome di ghiaccio e nuvole. Un’atmosfera unica e irreale. «Il vero design – aggiunge Marchese – deve avere l’eleganza di farsi notare con discrezione. Non deve essere fine a se stesso, ma apparire come un’idea che coinvolge altre idee, un design che rigenera design.

Un mondo dove anche i sogni non conoscono confini».
Dunque, dicevamo, un nuovo concetto di aperitivo miscelato con un concetto preciso di design. Così, con una variazione del rito pre-cena, Roma proverà a dare una piccola lezione di stile e di gusto a Milano.

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