Fini all’ultima spiaggia: potrebbe dimettersi per salvare il partito

Oggi a Mirabello potrebbe lasciare la guida della Camera, ascoltando così la base che pretende una decisione. Ma il Colle non tollererebbe lo strappo istituzionale

Fini all’ultima spiaggia:  
potrebbe dimettersi  
per salvare il partito

Roma - La tentazione Fini ce l’ha eccome: mollare la presidenza della Camera e rinfacciare a Berlusconi che è il premier, e non lui, a essere imbullonato alla poltrona. E che, per il bene del Paese, deve fare un passo indietro prima che sia troppo tardi. Fini oggi torna a Mirabello in tutt’altro scenario rispetto a quello dell’anno scorso. Un anno fa aveva tutti i riflettori puntati addosso ma oggi la storia è ben diversa. Urge un colpo di teatro. La spinta interna è fortissima: i suoi tifosi gli chiedono da tempo un colpo d’ala e lamentano che, stando al piano nobile di Montecitorio, Fini ha di fatto le mani legate. Militanti e deputati da settimane lo pressano sempre di più: prendi in mano tu le redini del partito perché altrimenti, nella traversata nel deserto, si rischia di morire di sete.

Le buone ragioni per una sua discesa in campo più attiva di quanto fatto finora sono molteplici. La prima: il partito ha bisogno di una guida più autorevole e navigata. Serve il generale Gianfranco e non il colonnello Italo. Bocchino è scaltro e capace ma è anche un uomo che ha diviso e divide il partito, forse anche per la sua eccessiva ambizione. Non ultimo, le sue recenti svolazzate con le «api regine» hanno creato un danno d’immagine non indifferente. Certo, anche il grande capo è scivolato su molluschi e stelle marine ma dai più è considerato un peccato veniale rispetto alle ultime gesta del suo braccio destro.

Seconda ragione: uscire dall’ombra sempre più ingombrante di Casini. La presidenza della Camera di fatto ha costituito e costituisce una zavorra insopportabile per Fini, relegato a «ruotino» di scorta del leader dell’Udc. Il centrista rilascia interviste, parla, briga, tesse rapporti e ogni giorno guadagna terreno. Gianfranco è limitato dal suo ruolo istituzionale e continua a perdere consensi anche a causa della poca visibilità. Un handicap da rimuovere assolutamente, specie in una fase turbolenta come quella attuale.

Terza ragione: qualora la situazione precipitasse con la caduta del Cavaliere e non si riuscisse a far nascere un governo tecnico, l’unica via sarebbero le elezioni. Impensabile, a quel punto, un Fini menomato in campagna elettorale. Per il Fli sarebbe indispensabile e vitale il suo peso, il suo eloquio, la sua dialettica, il suo essere in mezzo al campo di battaglia.

Restano però i dubbi, sul Fini scalpitante. Un suo addio al piano nobile di Montecitorio, in questo momento, sarebbe un oggettivo strappo istituzionale. Anche all’estero la mossa sarebbe letta come un’ulteriore neo all’immagine del Paese. Elemento negativo addebitabile soltanto al presidente della Camera. E di sicuro nessuno, tantomeno il Colle, esulterebbe per la nuova grana istituzionale. E non è detto che proprio dal Quirinale arrivino in queste ore delle frenate alla possibile mossa di Fini. Inoltre, ma questa è la lettura più maliziosa, forse a Napolitano farebbe più piacere dialogare con un Fini in qualità di presidente della Camera piuttosto che con un altro esponente, necessariamente espressione della maggioranza, leghista o pidiellino che sia. Infatti, qualora la situazione precipitasse, l’articolo 88 della Costituzione la dice lunga: «Il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse».

Per il resto si presume un comizio improntato sul «ve l’avevo detto io»: ve l’avevo detto che Berlusconi era finito, che

i tagli lineari di Tremonti erano una fesseria, che la Lega è una forza egoista. Ma sarà interessante sentire quanto e come parlerà del Pdl. Un partito con il quale, nel post Berlusconi, Fini vorrà senz’altro dialogare.

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