Fini non è più di destra, ma è sempre fascista

In occasione di una seduta della Camera alcune settimane fa si è verificato un episodio che ritengo grave e inedito. Mentre i deputati si accingevano a raggiungere i loro posti per votare, l’onorevole Bindi, che presiedeva, ha dichiarato chiusa la votazione. Dato che moltissimi deputati di maggioranza non avevano ancora raggiunto il loro posto e non poterono votare, la mozione appoggiata dalla minoranza fu approvata. La maggioranza dei presenti in aula era contraria ma, dal momento che molti di loro non riuscirono a votare, vinse la minoranza. Alle proteste della maggioranza, l’onorevole Bindi replicò che aveva atteso ben cinquantuno secondi prima di chiudere la votazione.
Ora, non esiste alcun limite all’intervallo che separa l’apertura della votazione dalla sua chiusura mentre esiste un dovere anche se non scritto del presidente di consentire a tutti i deputati presenti di votare. Non basta: in nessun Parlamento di questo mondo è considerato accettabile che prevalga il volere di una minoranza dei presenti. La decisione della Bindi, quindi, mi sembrò grave e decisi di intervenire. Non essendo riuscito a farlo subito, lo feci l’indomani dopo che il presidente Fini ci informò che la votazione non poteva essere ripetuta (confermando così che a suo parere la decisione della vicepresidentessa Bindi fosse sbagliata). Alle mie rimostranze replicò che sarebbe stato ancora più inusuale (di quanto fosse stata la decisione della Bindi) ripetere la votazione.
Anche se le posizioni politiche di Rosy Bindi sono molto diverse dalle mie, non sono certo che la sua decisione sia stata dolosa, consapevolmente volta a falsare l’esito del voto, facendo prevalere la sua parte politica con la repentina chiusura della votazione. L’onorevole Bindi sa essere partigiana decisa e faziosa, ma non ho memoria di sue intenzionali scorrettezze.
Quell’allucinante copione si è ripetuto in forma ancor più deplorevole quando il presidente della Camera ha chiuso la votazione mentre molti deputati, compresi due ministri, avevano già raggiunto la loro postazione e stavano per inserire la tessera! Nel primo caso il dubbio sull’intenzionalità della decisione è possibile, in questo secondo caso certamente no. Fini ha deliberatamente impedito alla maggioranza dei deputati presenti di esprimere il suo parere e lo ha persino fatto «in zona Cesarini», quando molte tessere erano già state inserite! L’uomo (se mi si perdona l’esagerazione) che aveva stigmatizzato l’operato di Rosy Bindi si è comportato molto peggio di lei.
Il mio amico Achille Occhetto sosteneva che «D’Alema non è più di sinistra, ma è sempre comunista»! Parafrasandolo, sono convinto che Fini non è più di destra, ma è sempre fascista. Ora posso dirlo con tranquilla coscienza; nel 1994 dovetti sudare le proverbiali sette camicie per convincere le cancellerie di mezzo mondo del contrario.
Quando andai a incontrare Douglas Hurd, ministro degli Esteri britannico, davanti al suo ufficio stazionava una mezza dozzina di membri della anti-nazi league che mi apostrofò come «collaborator» (collaborazionista, Quisling). Il viceministro degli Esteri israeliano, Beilin, sostenne che Israele avrebbe dovuto rompere i rapporti diplomatici con l’Italia dove erano tornati i fascisti. Per fortuna, Shimon Perez, ministro degli Esteri d’Israele, liquidò la tesi di Beilin con la lapidaria constatazione: «Ci sarà pure una ragione per cui sopra un viceministro c’è sempre un ministro»!
I giornali di mezzo mondo si dilungarono sul ritorno di Mussolini (la nipote del Duce) e un’intera sessione dell’Assemblea parlamentare della Csce (di cui l’Italia era presidente di turno) venne dedicata a domande sul ritorno del fascismo al governo dell’Italia. Riuscii a rassicurarli sostenendo che An era differente dal Msi che, a sua volta, era cosa assai diversa dal Pnf. Riuscii anche ad appianare le difficoltà nei rapporti con le maggiori associazioni ebraiche degli Usa. Il loro presidente dichiarò alla stampa che il nostro sarebbe stato il governo italiano più amico d’Israele.
Non mi pento di aver fatto tutto questo perché non per Fini ma per l’Italia ho ritenuto di doverlo fare. Oggi, tuttavia, m’indigna che ne abbia beneficiato anche Fini, che non ha mai tradito per la semplice ragione che non ha mai creduto in ciò che ha sostenuto. Mussolini forse poteva anche essere ritenuto «il più grande statista del XX secolo» ma non da chi fosse convinto che il fascismo fosse stato un «male assoluto».
Ciò che mi resta assolutamente incomprensibile è come a Fini si siano accodate persone per bene e di opinioni chiare anche se diverse: Benedetto Della Vedova, libertario e radicale, Angela Napoli, giustizialista fascista, Giuseppe Consolo, grande penalista liberalconservatore, Nino Lo Presti, liberale di destra, e altri.

Non credo siano stati mossi da opportunismo, si sono imbarcati su una nave che affonda, né per il carisma del leader, che non esiste. Ma una cosa è certa: consentirgli di restare alla presidenza della Camera è un oltraggio al Parlamento, alla democrazia, all’Italia.
*tratto da ilblogdiantoniomartino.blogspot.com

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