Adalberto Signore
nostro inviato
a Reggio Calabria
Silvio Berlusconi sale sul palco del palazzetto delle sport di Reggio Calabria, dà uno sguardo a Gianfranco Fini e gli regala uno degli abbracci più lunghi della storia della politica. Perché la mano del premier resterà sulla spalla del leader di An per quattro interminabili minuti, a sancire unintesa ritrovata e più forte che mai. «Silvio, ora parla tu, al tuo, al nostro popolo, parla agli italiani». E il Cavaliere gli risponde lasciandogli il palcoscenico: «Sottoscrivo ciò che hai detto parola per parola, è inutile aggiungere altro».
E dire che quando Berlusconi arriva davanti al Palapentimele e lancia la sua frecciata a Marco Follini («si fa male da solo»), quella che sembra prospettarsi è la solita giornata di batti e ribatti polemici allinterno della Casa delle libertà. Invece, nel Devolution day che ha lobiettivo di raccontare la riforma federale nel Sud Italia («abbiamo sdoganato la devoluzione», dirà più tardi Roberto Calderoli), di sorprese ce ne sono parecchie. La prima arriva durante lintervento di Fini, che più volte indica al «caro Silvio» alcune scelte del governo che negli ultimi tempi non lhanno troppo convinto. I toni, però, non sono né critici né polemici, anzi - spiega il leader di An - «siamo orgogliosi di quanto fatto». Fini punta sullunità della coalizione e sul rilancio della Casa delle libertà e - con modi e gesti da comizio, quasi a certificare che è da Reggio Calabria che si apre ufficialmente la campagna elettorale del centrodestra - dice chiaro che è arrivata lora di «smetterla di giocare in difesa» e «passare allattacco». AllUdc riserva sì qualche ambasciata, ma senza chiamare in causa né Pier Ferdinando Casini né Follini. Poi il colpo decisivo, perché se è vero che il vicepremier non esclude di correre alle eventuali primarie della Casa delle libertà, il suo approccio alla questione la dice lunga: «Pretendo una sola regola morale, e cioè che non può essere una competizione tra di noi. Chi per quattro anni è stato il vice di Berlusconi, non può allultimo giro di pista mettersi a correre contro di lui». E ancora: «Voglio la certezza che se dobbiamo vedere fra di noi chi ha maggiore consenso, un minuto dopo le primarie deve esserci un unico grande schieramento di centrodestra in cui, come si conviene a dirigenti politici che hanno responsabilità collettive, non si risponde solo ai propri interessi ma agli interessi della Patria». E poi chiama in causa direttamente i centristi e dà la sua idea di discontinuità: «Cambiare qualcosa, tornare alle origini. Ma, lo dico allUdc, discontinuità significa anche tornare allunità».
Lassist a Berlusconi è servito, perché è subito chiaro che quel che sta andando in scena a qualche chilometro dallo stretto di Messina è un duetto attentamente studiato. Con Fini che di fatto depotenzia le primarie lasciando allangolo lUdc e il premier che nella sua replica gli cede lonore delle armi e una legittimazione che forse mai gli aveva concesso. Perché è vero che pure sulla legge elettorale il leader di An tende a minimizzare («se davvero interessa, parliamone, ma a condizione che ci sia già la norma antiribaltone» che sta nella riforma federale), ma va pure detto che non risparmia critiche su alcune delle ultime scelte del governo («Silvio, abbiamo fatto lerrore di confondere la moderazione con la logica del compromesso, le cose sono iniziate ad andare meno bene da quando hai smesso di dire che volevi fare la rivoluzione»). Così, quando Fini passa la parola a Berlusconi, il premier non perde loccasione di mostrargli la sua gratitudine. Sale sul palco e lascia ai fotografi limmagine della giornata, quella di due uomini che tutto sembrano fuorché essere in corsa luno sullaltro. Con buona pace dellUdc.
Ma Berlusconi va ben oltre la forma. «Sottoscrivo ciò che hai detto parola per parola», dice convinto. E quindi «non cè bisogno di aggiungere altro». Solo un saluto a un «amico fraterno che oggi manca». Che, come è ovvio, non è né Follini né Casini, ma «Umberto Bossi». Poi solo qualche minuto per ammettere che sì, «forse siamo scesi a compromessi, ma solo per non darla vinta alla sinistra», e dare un altro colpo allUdc. «Discontinuità - dice con unimpennata nel tono di voce - è smettere di litigare e essere uniti. Dobbiamo unire tutti i moderati italiani in una grande forza». Di fatto, quasi le stesse parole di Fini.
Il Devolution day finisce così, con Berlusconi che certifica in maniera equivocabile un asse di ferro con il leader di An. Al punto - lui che dellimmagine e della comunicazione ha fatto un arte - di lasciare davvero, e non solo a parole, la scena della convention tutta a Fini.